SPAGHETTI, UNA COTTURA A «PUNTINO»
Èinspiegabile come certi interrogativi tornino alla ribalta dopo aver trovato esauriente risposta. Esemplare il caso degli spaghetti: è corretto o sbagliato il tempo di cottura indicato sulla confezione? Piccola digressione personale: appena pronuncio questa parola — spaghetti — mi torna subito alla mente l’immagine di Totò che in
Miseria e nobiltà mangia con le mani la pasta; o quella di Alberto Sordi che in Un americano a Roma si lascia provocare dai «maccaroni». Tornando al focolare, la questione è stata sollevata senza risposta in una delle ormai innumerevoli rubriche tv culinarie: sul pacco da 500 grammi c’è scritto in piccolo 9-10 minuti: «In realtà dopo nove la pasta sembra ancora cruda». Su altre confezioni, aggiungo io, addirittura si legge: tempo consigliato 7-8 minuti. Qual è allora la cottura giusta? In realtà il problema non esiste.Gli spaghetti italiani, si sa, nascono dall’incrocio del grano duro nazionale (la nostra produzione non riesce a coprire le richieste del mercato) col grano d’importazione (proveniente cioè dalla Francia, dal Canada, dagli Stati Uniti, dall’Australia) che è più ricco di proteine. Inoltre da una trentina d’anni i sistemi di essiccazione della pasta sono migliorati, eccome! Difficilmente perciò la pasta si scuoce anche se resta sul fuoco qualche minuto in più. Infatti già si trova la distinzione: nove minuti al dente, dieci cottura standard. Ma poi, scusate, non vale sempre l’assaggio?