«Quella volta che entrò Truffaut...» I 40 anni della Libreria dello spettacolo miniera di rarità che resiste alla crisi
In quaranta anni di attività, un unico rimpianto: non aver riconosciuto François Truffaut. Il regista della Nouvelle Vague era entrato in libreria, sorridente ma già piegato dalla malattia. Maria Cristina Spigaglia gli si era avvicinata, come a un cliente qualsiasi, e lo aveva lasciato davanti allo scaffale dei volumi sul cinema, «li sfogliava uno per uno», ricorda. Era stato il signore che lo accompagnava a farglielo conoscere. «Mi permetta di presentarle il maestro...», aveva detto con garbo, e Truffaut, di colpo, era arrossito. «La dedica che mi sono fatta fare è qui da qualche parte, non riesco più a trovarla», si lamenta lei, «devo decidermi a fare ordine. Magari venderò tutto online». Dal tono di voce si capisce che, probabilmente, non succederà (e comunque non ora). Lunga vita alla Libreria dello Spettacolo, inaugurata in via Terraggio nel 1979! «È una stagione difficile — ammette Spigaglia, — è finita l’epoca in cui la Rai ordinava sei-sette copie di un libro, c’erano i regali aziendali e il Natale era festa grande. Oggi si sopravvive a fatica, con la passione».
Spiega di aver aperto la libreria per due ragioni. La prima: il rifiuto del lavoro da casalinga, «volevo sentire il sapore forte della vita». E poi, l’amore sconfinato per la lettura («una vera malattia, ho divorato Guerra e Pace alle medie!»). Dopo un anno di rodaggio da Einaudi in Galleria Manzoni («mi arrabbiavo perché c’erano conti aperti a più zeri e nessuno si preoccupava di incassare per non fare brutta figura»), arriva il momento di aprire un proprio negozio. «Avrei puntato sulla psicoanalisi, un’altra grande passione —, rivela — Franco Parenti, caro amico, mi suggerì invece di puntare su una libreria dello Spettacolo. Trovai l’idea favolosa, e non cambiai neppure il nome».
Il colpo grosso è di quindici anni fa. «Un privato romano voleva vendermi un’intera biblioteca di famiglia, libri e riviste, dedicati al teatro. Non accettai. Un anno e mezzo dopo, fui contattata da Christie’s, la collezione era approdata da loro: avevano venticinque scatoloni pieni, andai con poca convinzione, controllai solo i primi e sparai un prezzaccio. Quando le scatole arrivarono in negozio, scoprii un tesoro, fra opere prime e testi introvabili».
Oggi in negozio sono arrivati i giapponesi. «Non so dove trovino l’indirizzo, magari è un passaparola. Se ne presentano almeno un paio al mese. Qualche inchino, tanti sorrisi, e poi scatti a ripetizione: gli scaffali, i libri, le immagini, lo sgabello, non scappa nulla! E non sono gli unici, l’atmosfera rétro attira molti stranieri, mettono dentro la testa e finiscono per farsi il classico selfie dentro al negozio». Comprano? «A volte, ho una piccola sezione di testi in inglese, e comunque non solo libri. Una ragazza dell’Oklahoma, guardandosi in giro, ha scoperto i vecchi manifesti cinematografici, quelli magnifici che un tempo mi arrivavano dal festival di Cannes: glieli ho dovuti reggere uno per uno, mentre li faceva vedere alla madre in America su Skype!».