BARATTO, OUTLET E SCONTI
Come funziona la rete dei cambio merci Pubblicità pagata dai prodotti griffati venduti con forti ribassi per chi è tesserato «Giornali, radio, tv. Ma anche influencer»
Ottenere una campagna pubblicitaria su giornali, in radio o in tv, senza metter mano al portafoglio. Ingaggiare un influencer, senza versargli un compenso. A volte, nel commercio, i soldi non servono. Basta il baratto. La più antica pratica commerciale al mondo è proprio il pilastro su cui si fonda un fenomeno che, in Lombardia, vive una fase di espansione. È il «bartering pubblicitario», detto anche cambio merci. Il meccanismo è semplice: le agenzie di barter acquistano la pubblicità per le imprese clienti e poi non si fanno pagare in denaro, bensì con i loro prodotti. Merce di ogni tipo, di fascia medio-alta: abiti, vini, cosmetici, smartphone, fino ai servizi, come viaggi, visite specialistiche e soggiorni. Che il barter rivende, con ribassi altissimi, in outlet «privati», riservati ai tesserati (di solito dipendenti di aziende convenzionate). Quali i vantaggi? «Quei beni potrebbero rimanere invenduti anche per molto tempo, quindi, con il baratto, si ha l’opportunità di convertire il valore di beni immobilizzati in pubblicità» spiega Massimo Giordani, presidente dell’Associazione italiana sviluppo marketing.
Nato negli Usa negli anni ‘50, il bartering è arrivato negli anni ‘80. Ma quali caratteristiche deve avere per essere sostenibile? «Il valore che si decide di assegnare al bene oggetto del baratto deve essere coerente con i costi industriali e con le strategie. Un prezzo troppo basso avrebbe un effetto di riduzione del valore percepito» spiega Giorcento
dani. A chi conviene il cambio merci? «Se, in quel periodo, i magazzini sono saturi e non si prevede richiesta di prodotto a breve, allora è la soluzione perfetta. Viceversa, se l’azienda ha un processo produttivo ben sincronizzato con il mercato e si dispone di liquidità, potrebbe non essere vantaggioso» conclude Giordani.
Barter non ci si improvvisa. «Ci vogliono disponibilità finanziarie, perché l’agenzia paga subito la pubblicità, mentre il rientro con la vendita dei prodotti è a lungo termine» spiega Giovanni Fazio, ad di Karisma, gruppo a cui appartiene Publimethod, società di Vimodrone tra i leader del settore, grazie alla sua trentina di outlet (sotto l’insegna Promoclub), nel Nord Italia, a Bologna e a Roma. Oltre i dipendenti e una community di 140 mila persone. «Il cambio merci può essere di grande supporto per le aziende più piccole, consentendo di accedere a forme di pubblicità sia tradizionale sia innovativa senza aggravio finanziario e di valorizzare le rimanenze di magazzino o programmando la produzione. La distribuzione negli store permette anche ai clienti di sondare la percezione dei prodotti in aree geografiche lontane. E offriamo molti altri servizi, come il profiling dei clienti che li comprano».
Nel 2011, a Milano, Deborah Casagrande e Stefano Frabasile hanno fondato Adv Deal, che oggi ha venti dipendenti e cinque outlet, gli Adv Store. «Ci sono due tendenze: le imprese vogliono pubblicità sul digitale e con gli influencer, ma va molto bene anche la radio, che però non è adatta per tutti i prodotti. La serietà di un agenzia sta nell’offrire la strategia di marketing su misura. Inoltre, è cambiata anche la mentalità di acquisto dei soci: lo shopping è più ragionato e mette al primo posto il prezzo. Noi cerchiamo di conciliare entrambe le cose, posizionandoci su un mercato medio alto e cercando di essere più competitivi possibile, selezionando i prodotti con accuratezza».
Target
In commercio oggetti di fascia medio-alta Il fenomeno è nato negli Stati Uniti