Corriere della Sera (Milano)

Invito alla Scala con Gioele

Dix guida i bambini nel repertorio barocco

- di Enrico Parola

Omerico e scaligero. Gioele Dix oggi presenta alla Scala lo spettacolo dedicato alle famiglie, mentre martedì riporterà al Parenti il suo spettacolo «Vorrei essere figlio di un uomo felice», rilettura dei primi quattro libri dell’Odissea.

Ma signor Dix, lei non era un comico?

«Così mi ha conosciuto il pubblico televisivo, ma mentre imitavo Alberto Tomba, spiegando l’arte e la gnocca, interpreta­vo Sofocle. Da varie stagioni tengo al Parenti i Gioele Dix letterari, dove leggo poeti Montale, Calvino… Insomma, mi sono scoperto portato per il comico, ma in fondo sono un attore serio».

E la passione per la musica?

«Colpa di papà. La nostra fu una delle prime case italiane dove entrò una tv. Ne divenni dipendente, mio padre la espulse e da allora solo audio: sono cresciuto con Vivaldi, Mozart e Schubert».

Questa non è la sua prima volta sul palco della Scala: che sensazione si prova?

«Incredibil­e. Un palco unico, immenso, è “il” teatro italiano. Anche il retro è impression­ante, con i suoi sei piani. Però una volta che lo spettacolo inizia non ci penso più. Ci penso prima: devo presentare Händel, Vivaldi, Galuppi, venerdì ho seguito la prova dell’Ensemble Barocco per capire dove e come fare i miei interventi; sarò il medium tra le note e il pubblico, cercherò di far capire il dialogo tra gli strumenti, le armonie e la polifonia interagend­o con i musicisti».

Dovesse invitare compositor­e chi scegliereb­be?

«Detto che adoro il Settecento e avessi una macchina del tempo vorrei entrare nella redazione della prima encisulla clopedia a fianco di Diderot, porterei Paganini: fu un genio non solo per talento musicale ma per come lo seppe valorizzar­e, creando il mito del patto col diavolo e andando a suonare nei cimiteri».

Intanto porta Omero.

«Da anni volevo affrontare il tema padre-figlio, e tra le mie tante letture c’era l’Odissea, che dedica i suoi primi quattro libri a Telemaco: un figlio che non ha mai conosciuto il padre e vive attendendo­ne il ritorno. Una volta mi chiesero di leggere in pubblico questa “Telemachia”; preparando­la prese forma il progetto, dove ho inserito altri autori ed elementi personali».

Anche lei ha avuto un padre assente?

«No, ma ingombrant­e sì. Aveva avuto una giovinezza difficile, questo si ripercosse sua personalit­à e quindi su di me. Me ne sono andato di casa a vent’anni, ma non è stato facile uscire dalla sua ombra».

Temi alti, altro che «Mai dire gol» o «Zelig»...

«I comici alla fine parlano sempre delle stesse cose, opere come le tragedie e l’epica greca trattano questioni eternament­e attuali; è bello poterci riflettere e condivider­le col pubblico».

Ad esempio?

«Tanti padri dicono che l’importante è la qualità e non la quantità del tempo che si passa coi figli. Ma andare a scuola con papà era più bello che da solo: una cosa semplice, ma resa significat­iva dalla sua presenza».

Emozioni

«Il palco è immenso ma una volta che inizia lo spettacolo mi rilasso e non ci penso più»

Orecchio fino

In casa mio padre aveva bandito la tv: sono cresciuto con Vivaldi, Mozart e Schubert

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Incantati I giovanissi­mi spettatori della domenica scaligera

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