I re delle selle che sognano l’Ambrogino
Pariani, 116 anni da d’Annunzo a Mina «Noi, dimenticati per l’Ambrogino»
Ronald Reagan, Gabriele d’Annunzio, Mina, tutta la famiglia Kennedy, gli Agnelli. Pure Lucio Battisti e Mogol, quando nel 1970 attraversarono l’Italia, da Milano a Roma, a cavallo, avevano usato selle Pariani. Il laboratorio, che è poi anche negozio e showroom, è aperto da 116 anni. Una tradizione talmente antica che Aurelio Mutinelli, che di anni ne ha 87, origini veronesi e aplomb anglosassone, praticamente li ha passati tutti in sella all’azienda di famiglia: «Ma perché ormai l’Ambrogino d’oro lo danno a chiunque, tranne a un’azienda milanese di eccellenza?».
C’è un foglio, formato A3, in cui ha compilato a mano tutti i nomi di quelli che, in questi cent’anni e passa, ha messo in sella a un cavallo. Un fronte retro, bello ampio. Parte scrivendo largo, finisce fitto fitto. Ronald Reagan, Gabriele d’Annunzio, Mina, tutta la famiglia Kennedy, come quella Agnelli. Pure Lucio Battisti e Mogol, quando nel 1970 attraversarono l’Italia, da Milano ma Roma, a cavallo avevano usato selle Pariani. Il laboratorio, che è poi anche negozio e showroom, è lì da 116 anni. Che sono talmente tanti che
Aurelio Mutinelli, che ne ha 87, origini veronesi e aplomb anglosassone, praticamente li ha passati tutti in sella all’azienda di famiglia. E fa davvero fatica a provare a sintetizzare questa storia. Con i toni educati di un personaggio di altri tempi, però parte da una piccola polemica. Una cosa che ogni anno quando è tempo di Ambrogini lo amareggi. «Ma perché ormai lo danno a chiunque, tranne a un’azienda milanese che nel suo settore è diventata eccellenza? Non ci hanno riconosciuto il valore storico neanche in occasione del centenario».
Nel settore Pariani è la terza azienda più storica al mondo, dopo le prime due, che sono tedesche come tradizione impone. Tutte le medaglie olimpiche dell’equitazione italiana, dal 1904 in avanti, sono state vinte sulle selle della casa. «Ci siamo inventati la formula moderna, quella che ha cambiato la posizione del cavaliere, rendendolo più equilibrato e performante. Prima se ne stava col peso indietro. Era come fosse seduto in poltrona», spiega Aurelio.
Ha iniziato a lavorare qui che era poco più che un adolescente. La selleria è nata nel 1903 da un’idea di suo zio, Adolfo Pariani, in corso Vittorio Emanuele, al 38. Vendeva cappelli, guanti e frustini che probabilmente aveva importato dall’Inghilterra. Stile castigato, ma chic: funzionava bene. Le selle si facevano per l’esercito, per i marescialli o altri di grado. Poi un passaggio in via Filodrammatici, quindi l’attuale sede in via Capecelatro, a San Siro. Pariani vende qualunque cosa copra il cavallo. Compreso, visto che l’equitazione sta diventando sempre più modaiola, pure il look di chi monta in sella. «Una volta bastava comprarsi il pantalone adatto. Oggi la gente lo cerca firmato. Uno sport costoso. Sempre più attento all’estetica. Quando vedo dei genitori che vengono qui con figli, li metto in guardia. Questo, purtroppo non è uno sport per tutti», spiega la figlia Caterina, che con il fratello Carlo rappresenta la quarta generazione in azienda. Sport sempre più frequentato dalle donne, quasi il 90% di chi va a cavallo.
In laboratorio si preparano due modelli di selle standard. Ma in realtà chiunque la ordina su misura, come fosse una camicia. Nessuna sella è uguale all’altra. Anche perché la cultura (chiamiamola così) del mal di schiena, ha spinto chiunque a cercare soluzioni posturali ottimali dopo aver deciso di immolare i reni rimbalzando a cavallo. Alcuni modelli sono esposti anche al Museo della Scienza: «La soddisfazione più grande è andare in tutto il mondo», aggiunge Aurelio. Cuoio e pelli. Incudine e martello. Artigianato puro: «Siamo tra i pochi che ancora fanno tutto a mano». Si va avanti a 350 selle l’anno. «E resistiamo nonostante le realtà industriali ne facciano cento volte in più. E ci copiano i modelli, ci copiano tutto».