Torte stradali, pillole, draghi e tombini dove abitare Il luna park di Biancoshock
In mostra le provocazioni urbane dello street artist milanese
Su un cartello, di quelli che chi vive in coda in tangenziale ha stampato negli occhi, ha disegnato il mare, un’amaca, il sole, la sabbia bianca. E sotto la freccia dice 7573 chilometri a destra. Oppure tre pneumatici ai lati di una statale. In condizioni normali farebbero subito degrado. Lui invece li ha colorati di bianco e rosa, una sopra l’altro come i piani di una torta nuziale con tanto di sposini in cima. Le vedi e pensi: questo è un genio. O un provocatore, nel senso ironico del termine.
Però poi è lo sforzo per capirne il significato che rende il gioco urbano di Biancoshock un investimento culturale per chi vive in una metropoli senza dar peso alla realtà che lo circonda. Se ha un’idea ci mette il punto esclamativo ma anche il punto di domanda. Francesco Biancospavento (da lì il nome, geniale pure quello nella sua traduzione letterale), 37 anni, milanese, gli esordi come graffitaro, poi un’arte fatta di continui disturbi visivi, con almeno un migliaio di tracce lasciate nel contesto urbano, il suo unico palcoscenico. La strada usata come una tela. I tombini come minuscoli monolocali arredati. Lui lo chiama «effimero realismo», un mix di arte contemporanea concettuale e di slanci creativi talmente «indie» che spesso durano una manciata di minuti: «Senza permessi, né sponsorizzazioni, va così. Può succedere che appena installati, qualcuno li tolga, li danneggi o più banalmente si porti a casa l’opera. Poi mi mandano la foto per comunicarmi che ce l’hanno in salotto a casa loro», racconta. Conta il gesto e l’immagine che lascia. «In questo senso i social e la Rete aiutano a far viaggiare il messaggio, allungando la vita all’opera. Sono un volano per divulgare storie che possono nascere comunque solo in strada». Per questo i suoi lavori sono finiti alla Saatchi Gallery di
Londra, al Macro di Roma, sulla rivista del Moma, ma anche in un quiz dell’Eredità di Carlo Conti o nei libri per bambini. «Uso tecniche diverse, per questo il mio pubblico può essere chiunque. Importante è riuscire a strappare l’attenzione in una manciata di secondi». Negli ultimi anni Biancoshock ha scalato il mondo dell’arte pubblica, fenomeno che in Italia non conta molti adepti, ma che in Europa funziona bene, anzi è di moda. «Attribuire un messaggio a qualcosa di indifferente è il miglior modo per veicolarlo. A volte è il posto che mi suggerisce l’intervento artistico. Il luogo è parte dell’opera», dice.
L’ispirazione, che poi è quasi sempre una riflessione, nasce dall’attualità più sociale, dalla politica. Disservizi dei mezzi pubblici, migranti, traffico, le difficoltà e la vita delle periferie. «Ho lavorato molto su quartieri come Corvetto e Gratosoglio. Ma non sono uno di quegli artisti che cerca la polemica a tutti i costi. Mi piace anche esaltare aspetti positivi. La Milano del dopo Expo mi ha dato molti spunti». A proposito: ieri ha inaugurato una sua personale, aperta fino al 21 dicembre, alla Wunderkammern di via De Amicis. Se non riuscite a passare non è grave: tanto lo trovate per strada.
Lo stile
Il performer 37enne, attivo nelle periferie, chiama le sue opere «effimero realismo»