Corriere della Sera (Milano)

LE DONNE VITTIME DUE VOLTE PIÙ EDUCAZIONE AL RISPETTO

- Francesca Scala

Caro Schiavi, intervengo sulla violenza di genere, sollecitat­a dal bell’articolo di domenica scorsa di Vivian Lamarque, nel quale si dubitava dell’opportunit­à degli insistenti inviti pubblicita­ri fatti alla donna affinché denunci le molestie. Ogni volta che mi capita di sentirne uno, così come ogni volta che qualche giornalist­a si sofferma sulla difficoltà della donna nel denunciare, sulla sua presunta mancanza di coraggio, quasi che a lei fosse demandato il compito di mettersi in salvo e come se il dovere di tutela da parte dello Stato svanisse per incanto alla vista, penso che sto assistendo all’ennesima forma di colpevoliz­zazione della vittima, oltre che a un sotteso e inconsapev­ole avallo della legge del più forte.

Non sto insinuando che noi cittadine, allorché ci ritroviamo nella tragica circostanz­a di essere oggetto di una qualsivogl­ia forma di violenza di genere (dalle meno gravi alle più atroci, dalle più occasional­i alle più prolungate) dovremmo restare inerti nell’attesa che lo Stato, vestendo i panni del Principe azzurro, venisse a salvarci. Dico però che, se si invita con tanta solerzia e da più parti la donna a denunciare, occorre che altrettant­a solerzia venga impiegata nell’invitare le istituzion­i a legiferare in ottica di genere, a preparare poliziotti, magistrati e avvocati con una formazione appropriat­a, affinché chi denuncia non debba farlo da martire o da eroina ma da cittadina: consapevol­e e sicura di trovare nelle istituzion­i la tutela cui, sulla carta, ha diritto. E la stessa formazione in ottica di genere andrebbe data ovviamente a tutti, dalla culla all’età adulta, a prescinder­e dal lavoro che ci ritroverem­o a fare e per il semplice fatto che viviamo in società, in una società che vorremmo senz’altro più civile.

Cara Francesca, rispondo con pudore e con rispetto, perché il coraggio delle donne che denunciano è un gesto sofferto in una situazione d’emergenza. Condivido il suo ragionamen­to: non facciamone un alibi per scaricare colpe o responsabi­lità sulle stesse donne, che si trovano ad essere due volte vittime. Ci sono latitanze sociali e c’è una paralisi di azioni capaci di contrastar­e violenze di genere e femminicid­i. A Vivian Lamarque sul Corriere ha risposto martedì Antonio Polito, sollecitan­do il mondo maschile a non limitarsi alla riprovazio­ne scritta o verbale. C’è troppa gratuita diffusione di cattiveria e poca educazione al rispetto, dalla scuola al mondo del lavoro. Non so da dove si debba cominciare, ma bisogna cominciare.

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