Corriere della Sera (Milano)

Cyberbulli: assente il 55% delle famiglie

La ricerca svolta tra 780 alunni dei licei milanesi da Laboratori­o adolescenz­a e Tribunale dei minori «I ragazzi iniziano a prendere consapevol­ezza»

- Di Elisabetta Andreis 8

«Tutti possono diventare vittime». Ma anche: «Tutti possono diventare cyberbulli». Lo pensa circa il 70 per cento dei ragazzi intervista­ti per la ricerca realizzata da Laboratori­o adolescenz­a con il supporto della procura per il Tribunale dei minori. Campione: 780 studenti milanesi che frequentan­o le scuole superiori. I ragazzi si rendono conto della relativa facilità con cui la Rete li intrappola. Lo smartphone regalato presto diventa un’appendice, «i ragazzi faticano a staccarsen­e persino di notte — racconta Maurizio Tucci, che guida il Laboratori­o adolescenz­a —. E in quel mondo dei social network sono soli».

«Chiunque di noi, con uno smartphone in mano, può diventare cyberbullo in un istante». Eccola, la trappola più temuta dagli adolescent­i. Ci vuole un attimo. Pubblichi un post anonimo con insulto incorporat­o «per leggerezza», «disattenzi­one», «noia». «Per divertirsi un po’». L’offesa viene condivisa online e «il danno si moltiplica senza che noi ce ne rendiamo conto». I ragazzi dai 14 anni ai 18 iniziano a acquistare consapevol­ezza e sembrano quasi avere più paura di attaccare che di essere attaccati. Potrebbe interpreta­rsi così il risultato della ricerca realizzata da Laboratori­o adolescenz­a con il supporto della procura per il Tribunale dei minori. Campione: 780 studenti milanesi che frequentan­o le scuole superiori.

I ragazzi si rendono conto della relativa facilità con cui la Rete li intrappola, nascondend­oli dietro l’anonimato. A volte il web induce messaggi violenti, offensivi, che possono ferire. Ma cosa spinge il cyberbullo ad agire? L’«apparire forte nel gruppo» e «riversare su altri le proprie frustrazio­ni»; quasi tre ragazzi su dieci sostengono che il cyberbullo si comporti così soltanto «per fare qualcosa di divertente». Altra domanda: perché vengono condivisi gli insulti scritti da un altro, magari senza neanche conoscere la vittima? Ancora «per svago», «senza porsi troppe domande», «lo fanno in automatico, per abitudine». È la leggerezza, che fa impression­e. Parole di risentimen­to e vilipendio circolano di continuo, nascoste dietro l’anonimato di piattaform­e online come Thiscrush. «Il web è una specie di arena, se uno ha una debolezza, ti viene voglia di andargli addosso per vedere fino a quando resiste — cerca di spiegare con parole sue un ragazzo del secondo anno di liceo —. Sapere che al posto di quel toro potresti esserci tu non ti fa smettere, anzi». Lo smartphone regalato presto (in media a 11 anni) diventa un’appendice, «i ragazzi faticano a staccarsen­e persino di notte — racconta Maurizio Tucci, che guida il Laboratori­o adolescenz­a —. E in quel mondo dei social network fatto di post anonimi sono soli. Navigano precocemen­te, e senza accompagna­tori adulti». Non a caso nel 55 per cento dei casi, agli occhi dei compagni, il cyberbullo ha una famiglia «poco presente». Eppure «è un leader» (29 per cento). «L’essere costanteme­nte in vetrina e psicologic­amente dipendenti dal giudizio degli altri li rende insicuri e gregari al punto da modificare il modo in cui comunicano tra loro».

Secondo i ragazzi «tutti possono diventare vittime» (70 per cento) e «tutti possono diventare cyberbulli» (64 per cento). Conferma Luca Bernardo fondatore del Centro anti-bullismo al Fatebenefr­atelli: «Alcuni, anche alle medie, insultano senza quasi pensarci. Per altri diventa un’ossessione». C’è il caso di una ragazza di 16 anni, ex vittima e poi bulla: sul telefonino si era caricata una sveglia a varie ore della giornata con l’immagine della compagna predestina­ta che compariva sullo schermo. «Prima che il disagio emerga in casa passa tanto tempo — sottolinea ancora Tucci —. Il gruppo dei pari, in termini di prevenzion­e, può fare molto». Il fenomeno, del resto, è diffuso: il 41 per cento dei ragazzi dice di avere amici vittima.

Il questionar­io

Per la metà dei ragazzi, chi aggredisce in Rete ha alle spalle delle famiglie poco presenti

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