Incinta, picchiata: voleva uccidersi Preso il compagno
L’uomo arrestato in strada dalla polizia locale, lei è incinta. «Tre anni di botte e insulti»
Fuggiva dall’ennesimo pestaggio del compagno, come quasi ogni giorno dall’inizio della storia sentimentale, tre anni fa, la ragazza che aveva cercato di suicidarsi in metrò ed era stata salvata da un dipendente dell’Atm. Adesso il persecutore, un 32enne marocchino (la vittima ha 18 anni ed è italiana) è stato arrestato dalla polizia locale. Il caso delle mancate denunce e l’appartamento nella San Siro vecchia.
L’ennesima storia della San Siro vecchia tra piazzale Segesta e piazzale Selinunte: case popolari e disgraziati, violenze famigliari e menefreghismo dei vicini di casa, prima regola per sopravvivere, starsene nascosti e muti così da evitare gli sgomberi. La 18enne italiana e in attesa di un bimbo, che alle 16.20 del 16 dicembre, come svelato dal Corriere, voleva suicidarsi in metrò ed era stata salvata da un dipendente dell’Atm, bravo, attento e soprattutto rapido ad afferrarla, fuggiva dalle persecuzioni del compagno. Uno stato di prigionia non unicamente fisica perché l’uomo, pregiudicato 32enne nato in Marocco e adesso in galera a San Vittore dopo l’arresto della polizia locale, la picchiava sistematicamente da tempo e lei non riusciva a denunciarlo — paura di una vendetta, mancanza di fiducia nelle istituzioni, convinzione che le botte un giorno sarebbero finalmente cessate.
La situazione domestica è stata probabilmente un’ulteriore causa del silenzio, poiché la ragazza, ora affidata alla mamma che vive nell’hinterland nord di Milano, abitava in un appartamento di via Zamagna insieme al balordo, a sua madre e alla famiglia del fratello, e dunque fuggire dal clan non era un’azione scontata. Anche se nell’episodio che ha innescato la cattura, risalente al 17 dicembre, quando per strada, in viale Aretusa, il 32enne prendeva a calci la ragazza raggomitolata su se stessa, c’era anche la mamma del pregiudicato la quale, secondo testimoni, cercava invano di interrompere l’aggressione urlando in arabo «basta, basta, smettila». I vigili erano nelle vicinanze in quanto impegnati con i rilievi di un incidente, ed era stato proprio uno dei coinvolti nello scontro a raccontare della scena appena vista; la polizia locale era intervenuta e aveva bloccato l’uomo, che pare si sia giustificato asserendo, testuale, che stava «soltanto mettendo le mani addosso a sua moglie dopo aver subìto a sua volta delle violenze». Una volta al Comando, gli agenti hanno scoperto il passato del marocchino, coinvolto in inchieste di droga, e contestualmente l’ascolto della 18enne da parte del solerte Nucleo tutela donne e minori, al netto della sua volontà di non denunciare, ha permesso di ricostruire l’intera vicenda, fino a quell’attesa di un treno sulla banchina della stazione Lotto per lanciarsi. Dai database delle forze dell’ordine è emerso un ricovero a ottobre della ragazza alla Mangiagalli per un ematoma all’occhio e lividi sparsi, conseguenza dell’ennesimo agguato del balordo.
Risulta che i servizi sociali, non di Milano ma di un Comune della provincia, avessero conoscenza, s’ignora se integralmente oppure in forma parziale, del devastante stato di vita della 18enne. Ulteriori accertamenti della magistratura chiariranno a che punto fosse quell’iter e quali le eventuali misure adottate. L’inizio delle violenze sarebbero da datare nei primi mesi del 2017, in coincidenza dell’avvio della storia sentimentale tra i due. Fonti investigative, nell’esplorare il profilo della ragazza, non escludono che una delle ragioni dell’incontro sia dipeso dalla droga, e parlano di una 18enne afflitta da gravi problematiche fin dall’adolescenza. Resteranno le solite domande senza risposta, ovvero come sia stato possibile che ripetuti pestaggi non siano mai stati contrastati e denunciati dagli altri presenti nell’alloggio, e come sia stato possibile che, a fronte degli evidenti rumori e delle ancor più evidenti urla di aiuto e di dolori, il caseggiato se ne sia fregato, ma basta ricordare la consegna al silenzio in un altro condominio del quartiere, in via Ricciarelli, quando Aljica Hrustic massacrava il figlio Mehmed, due anni e 5 cinque mesi, poi assassinato a mani nude perché piangendo di notte lo infastidiva.