Corriere della Sera (Milano)

La sfida vinta dallo chef giramondo

La famiglia Huayanay: integrati ma servono aiuti per chi arriva

- di Stefano Landi

Alex, Cintia e loro figlia Grisel vivono a Milano da 11 anni. Una famiglia peruviana che a tavola al completo si ritrova solo per la colazione del weekend, che poi sarebbe una sorta di brunch tra pesce fritto, involtini di verdure e frutta latina. Alex, 39 anni, dopo una vita tra le cucine di Buenos Aires, Barcellona e Milano, da qualche mese è riuscito ad aprire un suo ristorante: «Questo vuol dire che sta più tempo con la sua brigata che con noi», scherza sua moglie. Gli anni in Porta Romana, oggi la vita in zona Gambara (tra gli intoppi della burocrazia). Ultima puntata del viaggio nelle cucine delle famiglie straniere in città.

Non lo chiamano brunch, perché dalle loro parti è una definizion­e troppo modaiola per essere vera in cucina. Però il senso è quello. Sul tavolo ci sono avocado, pesce fritto, tamales (involtini a base mais con ripieno di carne e verdure), altra frutta diffusa, tendenzial­mente molto colorata, come solo quella che l’America Latina sa partorire. Calorie come se piovessero. La colazione del fine settimana è il loro unico pasto insieme. Perché esistono lavori bellissimi, ma maledetti, a livello di orari. E lo chef è uno di quelli, anzi, forse il peggiore se misurato con il cronometro in mano. Alex Huayanay — il cognome è puro orgoglio quechua delle vette andine —, 39 anni, cucina da sempre. Solo che quest’estate è riuscito a coronare il sogno di avere, dopo aver girato per 12 anni tra i fornelli di diverse cucine, un suo ristorante. Gourmet, più di fatto che di nome. «Questo vuole dire che sta più tempo con la sua brigata che con noi», scherza (ma non troppo) sua moglie Cintia Condormang­o, 36 anni.

La loro è una bella storia per gli appassiona­ti del genere sliding door. Entrambi peruviani si sono conosciuti nella capitale argentina di Buenos Aires. Lui era arrivato per farsi la mano, iniziando a spadellare. Lei viveva nello stesso palazzo. Si sono incrociati, conosciuti, è nata Grisel, che oggi ha 15 anni. Sono arrivati in Italia nel 2008, quando Don Juan, il ristorante argentino pioniere in città, cercava uno chef che alla carne sapesse dare del tu, arrivando dalla madre patria. A giugno ha aperto il ristorante e l’ha battezzato in modo che raccontass­e il suo percorso: «Itinerario». «La mia cucina è un viaggio che parte da lontano. Sono nato in Perù, ho vissuto a Buenos Aires, poi in Spagna a Barcellona, quindi sono arrivato a Milano. E qui man mano ho scoperto la cultura mediterran­ea», racconta, seduto nella cucina di casa, che ha tante caratteris­tiche tranne quella di ricordare una casa sudamerica­na. «Perché le cose più peruviane le abbiamo volute dimenticar­e nell’ultimo trasloco. Basta far finta che non ci stiano», spiega la moglie Cintia.

Se vivi da chef devi essere disposto a fare le valigie spesso. Anche nella stessa città: l’unico modo di avere il disco orario per casa. Abitavano in Porta Romana. «Una zona borghese della città che ci ha accolto benissimo. Grisel è entrata in prima elementare alla Quadronno. Non parlava una parola di italiano e non c’era nessun compagno straniero — ricorda Cintia —. Compagni e maestre l’hanno aiutata tanto». Oggi che si sono spostati in zona De Angeli, Grisel è un po’ meno agile negli spostament­i. «Dovevo iscriverla al liceo scientific­o. I meccanismi qui sono complicati­ssimi e non c’è nessun aiuto per uno straniero. Si è ritrovata a Lambrate e non riesco a spostarla per avvicinarl­a a casa». Così ogni giorno attraversa la città. «Esco all’alba che ancora tutti dormono. In Perù mi piaceva avere l’uniforme, è una cosa democratic­a e perdi meno tempo la mattina davanti all’armadio», dice con accento quasi milanese. Al netto di un grande inseriment­o a Milano, restano gli scherzi della burocrazia: «L’apice del calvario è il rinnovo del permesso di soggiorno. Ti danno una lista sempre più lunga ma ogni volta che arrivi lì ti dicono che manca sempre qualcosa. In Perù, sembra assurdo, ma è tutto molto più snello e semplice», spiega Cintia.

Le cose più peruviane le tengono in frigo. A Milano negli ultimi anni sta crescendo molto la cultura gastronomi­ca latina. I ristoranti peruviani, sulla scia del boom del ceviche, si stanno moltiplica­ndo. «La cosa che mi impression­a è come nei mercati rionali si trovi tutto come fosse un piccolo angolo di Lima. Dieci anni fa non era così. Il più fornito e colorato è quello di piazza Ventiquatt­ro Maggio». A casa tornano poco. «Io da quando sono in Italia, in 12 anni, sono rientrato una volta sola», dice Alex. Cintia ufficialme­nte fa la mamma. «Ma faccio anche la babysitter. Curo il cane Lola. In casa ho arredato tutto io. E poi cucino, in Perù abbiamo un ristorante di famiglia. Un giorno mi piacerebbe sfidare Alex con una cosa mia». Però così tocca tornare al tema di partenza. Quello dei sacrifici che impone una vita da chef. «Ma io vivo perché gli altri mangino bene. E quando gestisci un posto tuo, cambia tutto. Non chiudo mai, ho scoperto il peso delle responsabi­lità», dice con lo sguardo basso tipico di chi è abituato a guardare prima nel piatto. E detto così sembra quasi una missione. Per questo in famiglia tutto sommato l’hanno capito.

I ristoranti alla moda Dopo la gavetta in Argentina e Spagna, ha lavorato tra Porta Romana e De Angeli

I mercati rionali

«Qui si trova di tutto, come fossimo a Lima Mi piace soprattutt­o quello della Darsena»

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Sopra, Alex, Cintia e Grisel. Sotto, lo chef nel suo ristorante in De Angeli
In cucina Sopra, Alex, Cintia e Grisel. Sotto, lo chef nel suo ristorante in De Angeli

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