La cascina della resistenza verde Così Davide ha battuto Golia
Campazzo, una sfida (vinta) durata 40 anni. «Ora siamo un simbolo del quartiere»
Definirli resistenti è un doveroso omaggio a 40 anni vissuti su una barricata verde alle porte di Milano. Per difendere il parco agricolo del Ticinello, in zona Chiesa Rossa, a pochi metri dal traffico di auto di via dei Missaglia. Perché quando sul finire degli anni ‘70 raccontavano alla gente e alle istituzioni che un’area agricola all’interno di una metropoli ha un grande valore sociale si sentivano rispondere che era meglio tirar su palazzi in onore al dio cemento. «La vittoria non è il punto d’arrivo, ma il percorso che abbiamo fatto. Il modo migliore per far capire il messaggio alle persone che abbiamo incrociato in questi anni. I colleghi agricoltori mi dicevano che alla fine il pesce grande mangia sempre il pesce il piccolo», racconta Andrea Falappi, che oggi ha 68 anni. Lo dice con davanti una nonna che ha portato i nipotini a vedere le mucche. Non è la prima della giornata. Ormai è un rito. «E pensare che prima erano quelli che si lamentavano dell’odore che arrivava dai nostri terreni».
Perché oggi quella puzza è diventato profumo e avere un po’ di verde sotto casa è considerato una risorsa. Così Cascina
Agricoltori
Campazzo si è guadagnata un ruolo nel quartiere, vincendo, con pazienza, la sua battaglia. Davide contro Golia, a voler usare la più antica delle metafore. L’azienda agricola è un’oasi verde che certifica l’integrazione riuscita tra agricoltura e città: «Un esempio di partecipazione attiva per stimolare il nostro futuro — continua Falappi —.
Ci siamo ribellati a un concetto, dato per scontato fino a poco tempo fa. Quello secondo cui dove c’è agricoltura c’è un tappeto bianco per edificarci sopra. Un palazzo, come una strada. Ma queste aree hanno un senso per chi vive intorno che va salvaguardato. Prima l’approccio che percepivi era quello di farci la guerra. Abbiamo cercato l’autodifesa del nostro pensiero insieme ai cittadini della zona, partendo dalla costituzione di un’associazione per il parco Ticinello».
Il percorso (o l’utopia, come la definiscono loro) parte in un Milano molto diversa da quella di oggi. Una sorta di rullo compressore che a colpi di ruspe si toglieva il fastidio sotto i piedi. Là dove c’era l’erba bisognava costruire una città. Una febbre del mattone che spesso degenerava in speculazione. «Ora scopri che alcune di quelle case sono vuote. E che invece l’agricoltura come la concepiamo noi sta cambiando la vita e la sensibilità di molte persone», spiega Falappi, che in cascina è aiutato da fratello e nipote. Hanno un’azienda bovini da latte. I campi intorno per gli animali. «Presto apriremo un laboratorio per la produzione di yogurt, la città vicino ci chiede queste cose».
Così il periodo degli sfratti, del megafono in mano, sembra lontanissimo. «La gente del quartiere si è affezionata alla battaglia, l’ha sentita come propria. Una forma di resistenza territoriale. Che è andata oltre i silenzi della politica». Cascina Campazzo non è un caso isolato. Ma è parte del motore verde di questa nuova generazione attenta all’agricoltura di vicinanza. I giovani tornano alla campagna, la vedono come prospettiva di vita. Prima era quasi un disonore: il progresso non prevedeva di fare il mestiere dei propri antenati contadini.
Coraggio Ci siamo ribellati all’adagio che dove c’è agricoltura c’è sempre un tappeto bianco dove edificare qualcosa
Pregiudizi In molti un tempo ci guardavano con diffidenza Adesso le nonne vengono in visita con i loro nipotini