Trapianti record Una maratona per salvare 11 vite
Le 30 ore non stop di Capodanno al Niguarda
Una maratona da record. Un’ottantina di persone tra medici, infermieri e tecnici per 30 ore in sala operatoria a Niguarda, a Capodanno. I parenti di quattro persone decedute hanno dato il consenso al prelievo di organi: con 15 trapianti vengono salvate undici persone. Il caso della persona che dieci anni fa aveva ricevuto un cuore e che morendo ha donato i suoi organi.
Si può fare Capodanno in sala operatoria, per il bene degli altri. Capita di entrare la mattina e uscire 30 ore tonde dopo. Una maratona, perché non c’è alternativa. Ventiquattro ore al giorno per 365 giorni l’anno, per dare un’idea dell’impegno complessivo sul calendario. Piccola cronistoria di una grande dimostrazione del senso della vita. Ultimo dell’anno: al quartier generale di Chirurgia dell’ospedale Niguarda arriva la comunicazione che ci sono quattro persone decedute che hanno dato il consenso alla donazione. Partono analisi e verifiche: sono 15 organi funzionali alla causa. Sono più o meno le 8 di mattina del 31 dicembre e inizia la maratona. Con buona pace del calendario, dei panettoni e pure delle famiglie che rimangono a casa a brindare sotto l’albero.
A Niguarda sono convocati 80 tra chirurghi, anestetisti, infermieri, barellieri, patologi, tecnici e personale sanitario vario. Ognuno porta la sua staffetta. Trenta ore consecutive, senza guardare l’orologio, anzi se possibile, buttandoselo alle spalle. Si va avanti fino alle due del pomeriggio del primo dell’anno. Alla fine si salvano 11 vite. Due sono bambini. L’ospedale manda una nota stringata. Dice che si è trattato di «un fermento di generosità e di dedizione al lavoro che non si fermano mai, anche quando il resto del mondo festeggia o è in pausa». Non basta a rendere l’idea della solidarietà umana.
Un prelievo d’organi genera la consueta filiera di «alert». Si valuta età, stato della malattia, cause di morte. Nel caso di Capodanno, i donatori avevano un età compresa tra i 19 e gli 81 anni. Al ragazzo, morto tragicamente in un incidente, vengono prelevati reni, pancreas, cuore, fegato e polmoni. Tutto il possibile. In questi casi la lista d’attesa di pazienti è dinamica: non si parte da chi aspetta da più tempo, ma dal caso più grave. Un paziente in rianimazione viene trasportato in elicottero da un ospedale di Genova. Di fegati, che resta l’operazione più delicata e complessa, ne vengono trapiantati tre, in un caso uno viene pure «splittato», come si dice in termini tecniaveva ci, tra una signora cinquantenne di Milano e una bambina di Roma. Il mondo dei trapianti non si può permettere frontiere. C’è anche un’altra storia bella. Bella anche perché sempre meno rara di quello che si possa pensare. Una delle persone decedute ricevuto meno di dieci anni fa un trapianto di cuore e ha deciso di donare alla morte gli altri organi prelevabili e funzionali. Un modo per rendere quello che aveva ricevuto in passato. Il circolo della vita, si diceva.
Sul tema delle donazioni in Italia è stato fatto molto. A scorrere e analizzare i numeri, forse non abbastanza. In Lombardia, per esempio, nel 2019 (il dato è certificato fino al 15 del mese scorso) ci sono stati 266 donatori, il 7 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Hanno reso possibili 678 interventi: un quinto dal dato complessivo nazionale. Ma la lista d’attesa, ad oggi, è lunga 1.900 pazienti, di cui il 60 per cento ricoverata
In sala operatoria Espiantati 15 organi «Un fermento di generosità che non si ferma mai»
a Milano. «Questo significa che c’è ancora molto da fare, anche per compensare e recuperare il lieve calo di trapianti registrato nell’ultimo anno — spiega Giuseppe Piccolo, coordinatore dei trapianti all’interno del Nitp, la prima organizzazione di coordinamento del prelievo e trapianto di organi e tessuti sul territorio —. E per questo il 27 gennaio abbiamo organizzato in un auditorium della Regione gli stati generali del sistema di donazione di organi in Lombardia». Saranno ospiti i sistemi modello, come Toscana e Veneto, che in Italia registrano i numeri migliori. E verranno pure dalla Spagna, che a livello europeo è l’esempio più virtuoso, grazie a una politica di formazione e informazione fatta a 360 gradi a partire dagli anni Ottanta.
Perché è vero che poi si fanno i miracoli con le maratone record tipo quella di Niguarda. Però se la lista d’attesa continua ad allungarsi, serve che gli ospedali abbiano le strutture e le competenze per poter operare.