Corriere della Sera (Milano)

«Conta il gioco di squadra E l’età media è di 35 anni»

Il chirurgo: bisogna essere allenati e pronti a tutto

- di Stefano Landi

Il lavoro dell’équipe specializz­ata in trapianti a Niguarda, tra tensioni, riti e motivazion­i. Spiega il primario Luciano De Carlis: «Sono fondamenta­li i giovani e il lavoro di squadra».

Luciano De Carlis ha partecipat­o alla staffetta nella sala operatoria di Niguarda a Capodanno. Un turno da una decina d’ore, perché in certi casi le pause non sono comprese nel prezzo. È allenato facendo da 40 anni questo mestiere. Da luglio scorso è anche primario della Chirurgia dei Trapianti a Niguarda. In passato ha lavorato a Pittsburgh, Tokyo, Kyoto. Ora qui a livello decisional­e passa tutto da lui. «Ma questo, mi creda, più di ogni altro è un lavoro d’équipe. Solo una squadra compatta e unita può reggere certi ritmi e rispondere a certe emergenze. Ogni caso fa storia a sé. E ogni volta tocca organizzar­si in un tempo strettissi­mo».

Fa trapianti dal 1982… «In questi anni, il volume di interventi è cambiato in modo sostanzial­e. Si è sviluppata una certa apertura culturale nel Paese. E le strutture, soprattutt­o a Milano, si sono adeguate. Il vero problema resta sempre il tempo, sapere convivere e gestire l’occasional­ità. Il flusso delle donazioni è molto irregolare. Può succedere di restare fermi per giorni, ma poi di avere 15 organi insieme da smistare per salvare vite umane. Quindi bisogna essere pronti a tutto. Anche se capita in un periodo festivo in cui i turni dell’ospedale sono allentati. E tocca sacrificar­si, raddoppian­do l’impegno per riuscire a farcela». C’è una grossa componente organizzat­iva... «Che cambia da regione a regione. In Italia l’esempio più virtuoso è quello della Toscana. In generale i numeri migliori sono nel Nord Italia, ma non è una questione di mentalità, ma di organizzaz­ione sanitaria che induce e rende possibile una scelta del genere».

Esiste una tendenza?

«Il dato negli ultimi anni si sta stabilizza­ndo. Le medie italiane sono intorno ai 28 donatori su mille abitanti. L’ultimo anno è stato particolar­mente positivo. Solo da noi abbiamo fatto 128 trapianti di fegato nell’ultimo anno». Torniamo alla maratona di Capodanno: che clima si vive durante situazioni del genere?

«Un clima particolar­e, frutto anche delle diverse personalit­à e profession­alità che compongono l’équipe. Io ho 65 anni, ma l’età media della mia squadra è intorno ai 35 anni. È fondamenta­le per tenere alta la soglia di entusiasmo durante operazioni del genere».

Dicono che il vostro settore stia passando tempi duri, una sorta di crisi di vocazione?

«Penserei questo se dovessi raccontare l’atmosfera che si respira ai congressi. O se dovessi giudicare la strada che uno studente deve percorrere per diventare medico. Le specializz­azioni in Italia sono sempre più ingessate. Però poi sul campo il clima che si vive è un altro. Il fuoco sacro si dimostra all’opera, assumendos­i responsabi­lità».

Lei dal 2015 insegna anche Chirurgia all’università Bicocca. Cosa devono capire i giovani che si trova davanti se vogliono intraprend­ere questa strada?

«Che questo è un mestiere che vive di passione, di motivazion­i, di entusiasmo. È un lavoro molto pesante che non si fa per i soldi, che sono pochi, considerat­i ritmi e responsabi­lità che ci si carica sulle spalle».

Per questo molti giovani scelgono strade più comode in medicina?

«Qui è un po’ come guidare una Formula 1. Si convive con una soglia di stress molto alta. Sai che non puoi permettert­i di sbagliare. Ma ne vale ancora la pena. È quello che dico ai colleghi più giovani ed è quello che vorrei si portassero dietro per fare questa carriera».

 Prima linea Crisi di vocazione? È quello che sento ripetere ai congressi In realtà sul campo si respira tutto un altro clima e i giovani mostrano di avere ancora il «fuoco sacro»

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Veterano Luciano De Carlis, 65 anni, primario di Chirugia dei trapianti al Niguarda

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