Arretrati Irpef Stangata sui consolati
Chiesti 11 mila euro l’anno di arretrati: ma noi non siamo evasori
Per oltre mezzo secolo le loro buste paga risultavano «esenti da imposta» e molti sono andati felicemente in pensione senza alcun problema. Ma adesso centinaia di dipendenti delle sedi consolari milanesi devono pagare decine di migliaia di euro per contributi Irpef arretrati, dal 2012 in poi. «Ci chiedono di versare più di quanto prendiamo di stipendio — raccontano — siamo diventati poveri di colpo, perché non siamo diplomatici ma semplici impiegati». Cesare Bottiroli, sindacalista della Cgil Fp, spiega: «Non si tratta di evasori, sono lavoratori in buona fede che vogliono pagare, ma almeno in modo sopportabile».
Poveri di colpo. Senza aver perso il lavoro, senza aver subito tagli allo stipendio. Soltanto per effetto di una lettera che annuncia una nuova «interpretazione» e la richiesta di decine di migliaia di euro per contributi Irpef arretrati. Vivono così, da qualche mese, circa duecento lavoratori delle rappresentanze diplomatiche estere. Milano, dopo New York, è la città con più sedi consolari (116), che occupano fino a 20 impiegati ciascuna.
Il problema: le rappresentanze diplomatiche straniere, pur avendo dipendenti italiani e adottando contratti italiani, non agiscono da sostituti d’imposta. Sebbene datori di lavoro, in base alla Convenzione di Vienna non hanno l’obbligo di trattenere le tasse dalle buste paga. Succede così da oltre mezzo secolo. E ogni anno, consegnano ai dipendenti modelli Cud con la dicitura «esente da imposta». Non solo: nel 1998 e nel 2002 l’Inps si è fatta viva e in entrambi i casi tutto era sembrato chiarito. «Eravamo in buona fede, nessuno ci ha mai detto nulla e ogni verifica confermava che tutto era in regola», raccontano loro. E ricordano di tanti colleghi felicemente pensionati senza aver mai ricevuto richieste dal fisco. Invece, poco meno di un anno fa, per il popolo dei consolati il mondo è cambiato. Dalle sedi provinciali dell’Agenzia delle entrate sono arrivati i primi verbali con richieste di saldo degli arretrati: 11 o 12 mila euro per ciascun anno di mancato versamento, a partire dal 2012, più sanzioni dal 30 al 120 per cento e tasso di interesse del 3,5 per cento annuo. E dopo un po’ è arrivata la seconda ondata di verbali, e per qualcuno anche la terza e la quarta, riferite agli anni successivi. «In questo modo oltre un centinaio di famiglie si ritrovano soffocate», spiega Cesare Bottiroli, della Cgil Funzione pubblica, reduce da un sofferto incontro con i dipendenti dei consolati del Brasile, dell’Argentina, del Giappone e di altri Paesi. «Praticamente devono versare più di quanto prendono di stipendio. È come se ricevessero una busta paga ogni tre mesi». E i diretti interessati raccontano di chi stava per andare in pensione dopo 46 anni ma prima deve pagare gli arretrati, di chi rimpiange di aver cambiato lavoro per uno stipendio «che sembrava più alto», dei drastici tagli ai bilanci familiari, dei figli che non capiscono e dei lavoretti extra per arrotondare. «Non siamo diplomatici, non abbiamo lussi e privilegi, siamo lavoratori normali con stipendi normali». E il sindacalista spiega: «Non chiedono di non pagare, ma di poterlo fare in modo sopportabile e senza le sanzioni. Non sono evasori, ma vittime di un sistema che ha permesso ai datori di lavoro di lavarsene le mani». A proposito: sarà un caso, ma dall’anno scorso alcuni consolati hanno iniziato ad agire da sostituti d’imposta.
Una querelle infinita
«Storia già chiarita in passato: non siamo diplomatici, ci chiedono più dello stipendio»