Processo sul rogo: i vigili dovevano sequestrare il sito
Poteva essere più alto, il risarcimento dei danni causati a Comune e Città Metropolitana dalla banda del rogo di via Chiasserini. Poteva e doveva essere superiore ai due milioni di euro totali liquidati dai giudici nei processi contro Aldo Bosina e soci. Perché i magistrati dell’ottava sezione penale del Tribunale — presidente Maria Luisa Balzarotti, Alberto Nosenzo e Luigi Iannelli — hanno decurtato i risarcimenti alle parti civili Comune ed ex Provincia a causa del mancato sequestro dei capannoni durante il sopralluogo effettuato tre giorni prima dell’incendio. L’11ottobre 2018gli agenti della polizia locale — che avevano funzioni di polizia giudiziaria — e i tecnici della Città metropolitana — che da mesi erano a conoscenza di una falsa fideiussione presentata da Bosina — hanno visto e fotografato tonnellate di rifiuti stoccate illegalmente senza tuttavia fare nulla, fuorché una nota informativa, e rimandando ogni azione alla settimana seguente.
Peccato che la sera del 14 ottobre il capannone sia stato dato alle fiamme causando danni non ancora del tutto definiti (resta il nodo delle bonifiche) e «un’alterazione misurabile e significativa dello stato della qualità dell’aria nella zona di ricaduta emissioni per un periodo prolungato di 4 giorni». Nelle motivazioni della sentenza a carico di Aldo Bosina (6 anni e mezzo), Pietro Ventrone (4 anni e mezzo), Giovanni Girotto (3 anni e 10 mesi) e Patrizia Geronimi (2 anni) i giudici riconoscono a Comune ed ex Provincia anche il danno d’immagine provocato dalla banda che trafficava illegalmente rifiuti, tuttavia applicano l’articolo 1227 del codice civile che riduce di una parte il risarcimento perché c’è stato «un indubbio concorso della polizia locale di Milano nella causazione del danno medesimo»: «il riferimento è ovviamente al sopralluogo dell’11 ottobre all’esito del quale — scrivono i giudici — pur essendo stata rilevata la presenza di un ingente quantitativo di rifiuti stoccato senza autorizzazione alcuna, si era ritenuto (per ragioni non del tutto conferenti) di non procedere al sequestro del capannone». Secondo i magistrati «l’omissione, ancorché secondo via ignote, era stata evidentemente fatale, perché appena tre giorni dopo lo smaltimento era stato dato alle fiamme».
Stessa decurtazione per Città metropolitana: «aveva partecipato al sopralluogo, peraltro portando con sé un patrimonio conoscitivo persino maggiore di quello del Comune: all’ente era noto che la “Ipb Italia” aveva presentato una polizza fideiussoria falsa, sicché il reperimento in loco di rifiuti, peraltro accompagnato dalle sorprendenti dichiarazioni del custode, avrebbe dovuto suscitare nei verbalizzanti ben più di un qualificato sospetto». Risarcita anche la «Ipb srl» e la famiglia Pettinato proprietaria dell’area e vittima delle azioni della banda dei rifiuti.