Corriere della Sera (Milano)

Qui Dergano «Ritorno al quartiere»

Vita di piazza, cultura, spazi condivisi La sfida di giovani, artigiani e negozianti «Eredità degli antichi legami industrial­i: è l’impresa sociale che dà il suo meglio»

- Di Roberta Giuili

«Qui c’è un modo di vivere il quartiere che rende naturale il moltiplica­rsi di iniziative». Antonio Augugliaro si è trasferito a Dergano nel 2009 con la moglie Gina. Municipio 9, periferia Nord, fino al 1923 un comune a sé stante, «piccola Manchester» ricca di fabbriche, o anche «cinecittà di Milano» per la presenza di case cinematogr­afiche. L’antico spirito di comunità degli operai rinasce oggi grazie a giovani, artigiani e commercian­ti: proiezioni, spazi per bambini, caffè inclusivi. Eredità del passato oltre agli scheletri d’archeologi­a del fare. Dopo cinque anni qui, Antonio, con Gina, Bruno e Alessia, ha fondato Nuovo Armenia: un’associazio­ne legata al cinema, per restare vicini alla tradizione. Entrando a Dergano ci si stupisce per la presenza radicata di tanti luoghi di incontro, iniziative, cooperativ­e. «Ci siamo moltiplica­ti e abbiamo dato vita a realtà attente a tutti: famiglie, bambini, migranti, disabili» dice Francesco Purpura di Rob de Matt, ristorante e insieme associazio­ne di promozione sociale.

L’obiettivo è far rivivere il quartiere recuperand­o la sua storia. Le grandi fabbriche che ancora hanno sede qui. Le botteghe artigiane che non hanno mai lasciato via Guerzoni. Il cinema. Come mettere insieme tutto questo? Con l’impresa sociale. Francesca Rendano sei anni fa ha aperto Mamusca, un bar per mamme e bambini su via Davanzati. C’è uno spazio dedicato ai giochi e ai libri per i più piccoli. «Volevo creare una comunità attorno ai miei figli: il bar era lo spazio più adatto». Mamusca è di fronte alla scuola di quartiere ed è sempre pieno di bambini. Da qui l’idea di stare insieme e collaborar­e ha preso il via e si è diffusa.

Poco oltre c’è via Guerzoni, l’arteria degli artigiani. I vecchi laboratori di ceramica e falegnamer­ia rimasti si mischiano alle botteghe diventate negozi. Artigiani e commercian­ti hanno iniziato a riorganizz­arsi e a sostenersi. Antico transito di merci, oggi ospita l’associazio­ne per la prevenzion­e del disagio giovanile Amico Charly. Qui ha aperto Rob de Matt, con l’obiettivo di creare un luogo di inclusione lavorativa per persone con storie di marginalit­à. «Nel quartiere siamo tutte piccole attività imprendito­riali cittadine — dice Francesco, uno dei soci — ha funzionato proprio il fatto che l’iniziativa sociale non sia stata calata dall’alto ma portata avanti da reti informali». Perché tutte qui? «Perché sembra un po’ un paesone». È proprio per questo, spiega Paola Schwarz, responsabi­le della comunicazi­one di «Sì, si può fare», che la cooperativ­a ha deciso di aprire qui il suo punto vendita: un negozio di alimentari dove a lavorare sono ragazzi con disabilità. «Hanno la possibilit­à di essere autonomi imparando in un laboratori­o pedagogico». Nuovo Armenia prende il nome dalla storica casa cinematogr­afica Armenia Films, ex Milano Films. In via Baldinucci si nota subito l’edificio: non solo per la scritta sbiadita all’ingresso ma per il disegno con cui il collettivo F84 ha dato colore al muro di cinta. Spiega Giulia, una delle 12 mani del murales: «Il nostro lavoro è stato quello di mettere insieme gli interventi artistici di 119 abitanti di Dergano: un’opera dal basso che recuperass­e un luogo del quartiere». Per vedere le pellicole, oggi, bisogna però cercare tra i cortili delle case. «Il cinema è un buon modo per conoscersi, dovrebbe tornare a essere più comunitari­o», afferma Antonio che ha dato il via alla rassegna Cinema di Ringhiera, «la gente viene a vedere le pellicole straniere con l’idea che da un film si possa imparare qualcosa del vicino di casa arrivato da paesi lontani». Verso piazzale Maciachini, antico confine del comune di Dergano, c’è una ex stalla che grazie a Nuovo Armenia, Asnada e Hypereden, diventerà un centro multicultu­rale con cinema, scuola di italiano per migranti e un’area dove bere e mangiare qualcosa. Insomma, un luogo per accogliere le nuove comunità.

Un multicultu­ralismo eredità del quartiere, da sempre meta di migrazioni degli operai meridional­i attirati dalle fabbriche: nacque così la tradizione di vedersi in piazza.

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