Festa concerto per Lavezzi
Vanoni e i Camaleonti sul palco con l’artista
Era il 1969 quando Mario Lavezzi vide i Dik Dik portare al successo «Il primo giorno di primavera», canzone di cui aveva composto la musica. Fu l’inizio della sua carriera di compositore, autore e produttore artistico per alcuni dei nomi più importanti della scena italiana: c’è la sua firma su «E la luna bussò» di Loredana Bertè, «È tutto un attimo» di Anna Oxa, «Quello che le donne non dicono» di Fiorella Mannoia, «Vita» di Lucio Dalla e Gianni Morandi e su tanti altri titoli. Alcuni si sentiranno dal vivo questa sera al Dal Verme, tappa di un tour teatrale per festeggiare i 50 anni di attività.
«Con la musica è scattata da subito un’attrazione fatale», dichiara il milanese Lavezzi. «Da ragazzino il mio oggetto del desiderio era una chitarra appesa al muro in casa di un mio cugino. Mio padre avvocato sognava altro per me, ma non ci fu nulla da fare. Nel ’63 fondai la mia prima band con alcuni studenti, ci chiamavamo I Trappers come gli esploratori del fumetto “Il grande Blek”; mica c’era la trap a quei tempi! (ride; ndr). Con un repertorio di un centinaio di pezzi, passando dai Beatles agli Stones, facevamo ballare la gente al Tricheco, al Ciao Ciao e in altri locali di un centro città che all’epoca non si spegneva mai». In uno di quei club, il Santa Tecla, nacquero I Camaleonti, attesi al Dal Verme come ospiti: Lavezzi militò nel gruppo dal ’66 al ’68, in quel periodo scrisse «È l’ora dell’amore», poi dovette partire per il militare e l’avventura sfumò. Alle spalle anche una dozzina di dischi a suo nome, il cantautore 71enne duetterà anche con Marcella Bella e Ornella Vanoni, a suggellare una vita di collaborazioni che negli anni 70 lo vide fondare altre due band, i Flora Fauna Cemento e Il Volo, e sbarcare alla Numero Uno, l’etichetta di Battisti e Mogol. «Un laboratorio da cui sono passati tutti, da Bennato a Ivan Graziani a Pappalardo», dice ricordando il passaggio dall’epoca dei «figli dei fiori» e dell’amore libero a quella delle lotte politiche.
«Nel ’74 partecipai con Il Volo al raduno al Parco Lambro della rivista “Re nudo”, erano tempi in cui se salivi su un palco dovevi alzare il pugno, ma io non mi sono mai schierato: sono da sempre un progressista, ma penso che nessun artista dovrebbe etichettarsi. E sai quanti lo facevano per opportunismo?». Con Battisti ha condiviso anche la passione per la fotografia: «Facevamo a gara a chi aveva la fotocamera più bella, lui scattava con una Nikon, io con una Pentax». A forgiarlo come produttore fu, però, Loredana Bertè: con lei Lavezzi strinse un sodalizio artistico sfociato in dischi quali «Bandabertè» e «Loredanabertè», e in una storia d’amore. «Loredana è ed era un vulcano, continua a sostenere di avermi rotto una chitarra in testa perché una sera ero rincasato tardi, ma pure lei mica scherzava, eh! Però ci vogliamo ancora bene, è stata la prima a parlarmi di Mimosa, mia moglie».
Del panorama musicale odierno gli piace Ultimo, di Milano l’anima cosmopolita che la rende affine alle grandi metropoli. «Mi dispiace solo che molti teatri e luoghi di cultura abbiano chiuso per lasciare spazio a negozi e centri commerciali: certe realtà andrebbero tutelate».
Ossessioni
«Da ragazzino il mio oggetto del desiderio era una chitarra appesa in casa di un cugino»