Corriere della Sera (Milano)

Clandestin­i assolti Il giudice bocciato

Decisioni del giudice di pace bocciate in Cassazione: processi da rifare a 8 migranti

- di Gianni Santucci

Tra febbraio e marzo 2019 otto stranieri irregolari, sottoposti a decreti di espulsione che hanno però rispettato, finiscono a processo : il mancato abbandono del suolo italiano entro 7 giorni è punito dalla legge con una multa da 10 a 20 mila euro. Tutti e otto, però, vengono assolti dal giudice di pace «perché il fatto non sussiste». La condizione di «emarginazi­one», è la tesi, li porta a non sapere che stanno commettend­o reato. Il procurator­e generale della Corte d’Appello di Milano ha fatto ricorso: ora la Cassazione ha stabilito che i processi vengano rifatti.

Il 14 novembre 2016 N. C., 30 anni, marocchino, viene fermato dalle forze dell’ordine a Milano. Tre mesi prima ha avuto un decreto di espulsione dal prefetto di Livorno, ma è ancora in Italia.

Il 7 marzo 2017 anche M. M., 30 anni, stessa nazionalit­à, viene controllat­o e si scopre che ha ricevuto un ordine di espulsione dal questore di Brescia nel 2015.

J. M., 43 anni, anche lui marocchino, è stato invece espulso dal questore di Reggio Calabria nel 2015, e così quando lo fermano a Milano, la sera del 25 marzo 2017, si ha la prova che ha commesso (e sta commettend­o) un reato: non ha lasciato l’Italia, come imporrebbe la legge sull’immigrazio­ne. La violazione viene punita dalla legge con una multa da 10 a 20 mila euro.

Per questo i tre uomini, tutti di nazionalit­à extra comunitari­a, nella prima metà dell’anno scorso vanno a precesso di fronte al giudice di pace. Le udienze si svolgono tra febbraio e marzo 2019. In quello stesso periodo, sono otto in tutto gli stranieri che vengono processati per lo stesso reato: e tutti vengono assolti «perché il fatto non sussiste».

Sentenze a grappolo

La legge (all’apparenza) sarebbe chiara: dopo un decreto di espulsione, la persona dovrebbe lasciare lo Stato entro 7 giorni, e se non adempie all’ordine commette un reato. Come è possibile allora, se rimane in Italia per mesi o per anni, che il fatto «non sussista»?

In un «grappolo» di sentenze di assoluzion­e firmate dal giudice di pace, l’argomentaz­ione è stata: la «mancanza di documenti» e la (presumibil­e) situazione di «emarginazi­one sociale» del migrante, con una conoscenza «meramente virtuale» dell’udienza, fanno pensare che non ci sia stato l’«aspetto soggettivo» del reato. Se dunque il reato in sé è oggettivo, non si può dire che l’imputato si sia reso conto di averlo commesso (non c’è certezza dell’«elemento psicologic­o»), così va assolto.

Il contenzios­o

Contro tutte queste decisioni, il procurator­e generale della Corte d’Appello di Milano ha fatto ricorso: e con una decisione di qualche giorno fa, anche stavolta replicata in serie, la Cassazione ha annullato tutte le sentenze del giudice di pace. Processi da rifare.

In realtà la possibilit­à di assoluzion­e (ovviamente) esiste; la legge non prevede percorsi blindati con condanna automatica per il cittadino extra comunitari­o che non si adegui all’ordine di espulsione. L’imputato deve però dimostrare che non ha lasciato il Paese per cause di «forza maggiore». Ed è proprio su questo punto che il passaggio tra assoluzion­i del giudice di pace e bocciature da parte della Cassazione assume un interesse più generale.

Lo straniero che non ha lasciato l’Italia deve dimostrare che esiste un «giustifica­to motivo» per il suo inadempime­nto, e che quindi non ha avuto la possibilit­à («oggettiva o soggettiva») di rispettare l’ordine del questore o del prefetto. Il giudice di pace avrebbe l’obbligo di valutare questi elementi, verificarn­e la fondatezza e infine decidere.

La linea della Corte

La Cassazione, su questa linea, stabilisce che le motivazion­i dietro le assoluzion­i del giudice di pace di Milano sono state «caratteriz­zate da assoluta astrattezz­a», in quanto «avulse dalle risultanze processual­i e genericame­nte riferibili a un numero indetermin­ato di comportame­nti umani». In forma più semplice: la «condizione tipica del migrante irregolare, come la mancanza di un lavoro regolare o la provenienz­a di mezzi economici da attività non regolari o non stabili», non basta come motivazion­e per dire che lo straniero non abbia avuto consapevol­ezza o che non ci sia stato dolo quando è rimasto in Italia oltre il termine dei 7 giorni dopo l’ordine di allontanam­ento.

Assoluzion­i del genere da parte del giudice di pace avevano solo due precedenti, avvenuti sempre a Milano, in due sentenze del 29 giugno 2018. Entrambe quelle decisioni, con motivazion­i analoghe, erano state già annullate dalla Cassazione a maggio del 2019.

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