La magia del truccatore «Così ho trasformato Favino in Bettino Craxi»
Il make up artist: 4 ore di trucco ogni giorno, 13 persone al lavoro
Andrea Leanza, il make up artist che ha truccato Pierfrancesco Favino fino a farlo «diventare» il leader del Partito socialista per il film «Hammamet», racconta: «Quattro ore di trucco ogni giorno e 13 persone al mio fianco». I numeri della trasformazione? Più di 500 protesi e 44 «facce» di Bettino Craxi.
«Gli attori sono pagati per aspettare». Pierfrancesco Favino cita Marcello Mastroianni in un video su Facebook. E lui, protagonista di «Hammamet» di Gianni Amelio, di pazienza ne ha portata parecchia per diventare fisicamente identico a Bettino Craxi. Quattro ore di trucco, più una dedicata a costume e ritocchi, ogni giorno per due mesi. Quasi «operazioni chirurgiche» a cui si sottoponeva, cominciando all’alba per essere pronto al primo ciak delle nove.
A trasformarlo nel leader del Partito socialista è stato Andrea Leanza, make-up artist, designer e prosthetic sculptor (chi realizza e mette a punto protesi speciali). Trentotto anni, nato a Catania, è cresciuto nel Varesotto. «Le riprese del film sono state precedute da una lunga preparazione — rivela —. Io e il mio team del laboratorio di Saronno abbiamo realizzato una scansione della testa dell’attore e una stampa in 3D del busto, poi abbiamo lavorato manualmente con resine e silicone. Infine, abbiamo creato dei negativi e colato al loro interno del silicone al platino per far calzare perfettamente le maschere. Un risultato ottimale si ottiene mediando tra somiglianza, mobilità facciale e morbidezza delle protesi per rendere naturali le espressioni del volto». I ferri del mestiere: «Pennelli, pinzette, adesivi chirurgici e una colla usata in medicina che costa 600 euro al litro. Tutto è testato medicalmente per non rovinare la pelle. Le parti più delicate su cui applicare gli stampi sono gli occhi e il naso. Abbiamo ricoperto tutta la testa di Favino aggiungendo anche lobi, labbra e una dentiera. È stato un lavoro molto invasivo, ma lui è un grande professionista: preciso e paziente. Anche Amelio lo è stato: all’inizio ci aveva chiesto di far apparire più l’attore rispetto al personaggio, man mano ha cambiato idea e alla quinta prova trucco ha dato il suo ok».
La prima settimana hanno girato a Legnano, poi, la partenza per la Tunisia. «La sveglia era alle 3 per iniziare con il trucco alle 4. In una scena al Duomo di Milano, invece, abbiamo cominciato a lavorare all’una di notte. Dopo, seguivo Pierfrancesco per i ritocchi a ogni ripresa. Un lavoro enorme, il più difficile che abbia mai fatto. Al mio fianco 13 persone tra cui, Federica Castelli, la key artist, che si occupava della precolorazioni e di inserire ogni volta con un ago 250 capelli veri sulla calotta cranica, le nostre assistenti,
Elisabetta Zanieri e Denise Boccacci, che pulivano i pezzi che settimanalmente arrivavano dall’Italia e l’hair designer Massimiliano Duranti». I numeri: più di 500 protesi e 44 «facce» di Bettino Craxi, una per ogni giorno di lavorazione.
Andrea è un autodidatta: «Ho sempre avuto la passione di modellare, fare scherzi, confezionare costumi per Carnevale o Halloween — racconta l’artista —. A 12 anni usavo la cera del formaggio e il ketchup per mimare bolle e ferite. A 15 ho scoperto in edicola le videocassette “Magic movie” e mi sono reso conto di che cosa succede dietro le quinte del cinema».
La prima vera maschera? «Il gobbo di Notre-Dame per la compagnia teatrale amatoriale del mio professore al liceo». Grazie al passaparola ha fatto diventare la sua passione una professione. Nel 2005 è arrivato in televisione con «Sputnik» su Italia 1. Al cinema con il film «World War Z»: «Mark Coulier, il prosthetic designer, aveva chiamato a raccolta 35 truccatori di diverse nazionalità e 4 erano italiani, tra cui io. Un’esperienza stupenda ho imparato tantissimo. Ho vissuto a Londra per tre anni. A inizio 2014 ho viaggiato per due anni in giro per il mondo dal Sudafrica alla Svezia. Nel 2016 ho aperto il laboratorio in Italia e nei momenti «liberi» insegno: ho più di 30 allievi sparsi per l’Europa». «Hammamet» è il risultato di una grande squadra: «Non avrei mai potuto farcela da solo — afferma Leanza —. Ho provato emozioni fortissime e ricevuto tante soddisfazioni. Anche sotto il profilo umano. Inoltre, Favino si è preso cura di noi, ha sempre ringraziato il mio team in ogni intervista e non è scontato».
Originale e mai prevedibile nelle scelte. Ma questo colore di capelli? «Verde-blu pavone — sorride Andrea —, rispecchiano la mia personalità. Così sono riconoscibile tra la folla».