Estorsioni hard Arrestati nove giovani
Brianza, arrestati nove giovani. Inserzioni sui siti di incontri: due preti tra le vittime
Andavano in parrocchia e lo aspettavano fuori dalla canonica. Ogni giorno senza dargli tregua: «Paga o diciamo a tutti che razza di depravato sei». Nove ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Silvia Pansini per estorsione aggravata nei confronti di altrettanti indagati, residenti nel Vimercatese, e in vari paesi della Brianza lecchese.
MONZA Andavano in parrocchia e lo aspettavano fuori dalla canonica. Ogni giorno, senza dargli tregua, forti della minaccia utilizzata anche con un altro religioso: «Paga, o diciamo a tutti che razza di depravato sei». Fosse stato per la vittima, un sacerdote brianzolo che non ha presentato denuncia alle forze dell’ordine, i ricatti di quel gruppo di ragazzi poco più che ventenni sarebbero rimasti impuniti. A fermare quel crescendo di richieste di denaro sono stati i carabinieri di Zogno (Bergamo), coordinati nelle indagini dal pm di Monza Marco Santini, che hanno eseguito nove ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Silvia Pansini per estorsione aggravata nei confronti di altrettanti indagati, quasi tutti giovani italiani incensurati tra i 19 e i 23 anni, residenti nel Vimercatese, e in vari paesi della Brianza lecchese.
Tre gli episodi contestati: due ricatti hard nei confronti di due parroci (uno dei quali della provincia di Bergamo, zona dove ha presentato querela), che avrebbero fruttato 16 mila euro, e un terzo ai danni di una facoltosa cittadina brianzola, alla quale avrebbero sottratto addirittura 80 mila euro, fingendosi malavitosi appartenenti alla camorra.
Soldi che, secondo quanto riferito, i giovani spendevano in serate all’insegna della «bella vita», tra tavoli prenotati in discoteca, bottiglie di champagne nel ghiaccio, auto di lusso e vacanze nella riviera romagnola. Gli inquirenti sono certi che la loro fosse un’attività sistematica, e che le vittime potrebbero essere addirittura diverse decine, anche se è stato impossibile attribuire loro con certezza altri casi.
Il tutto è nato quando il religioso bergamasco, a primavera dello scorso anno, si è presentato ai militari per raccontare cosa stava succedendo. Il prete aveva concordato un incontro omosessuale per venti euro, e si era dato appuntamento con un ragazzo a Busnago, nel vimercatese. Quando i due si erano trovati insieme, erano spuntati i complici del giovane. «Che stai facendo con mio fratello, non vedi che è minorenne?», gli avevano detto, anche se la circostanza non era vera. Da quel momento erano cominciate le pressioni a pagare. Prima 150 euro, poi sempre di più, con la minaccia di rivolgersi a una trasmissione televisiva, dove lo avrebbero rovinato. Dopo quel fatto, a giugno gli investigatori avevano arrestato cinque persone (tra cui una ragazza finita ai domiciliari), tre delle quali raggiunte anche dall’ordinanza eseguita ieri mattina. Ma soprattutto avevano alzato il velo su quel giro di ricatti grazie all’analisi dei tabulati e telefonici e, in seguito, all’uso delle intercettazioni ambientali.
Le vittime venivano agganciate su siti molto comuni come «Bakeka Incontri». Venivano scelte tra uomini sposati, o comunque che avessero qualcosa da nascondere, in cerca di rapporti sessuali gay. Il piano prendeva forma con l’appuntamento e l’entrata in scena dei complici. Poi la spirale di ricatti, nella quale mettevano «particolare accanimento», dicono gli investigatori, fino a portare le vittime in uno stato di «totale prostrazione».
Gli indagati cercavano di cautelarsi, spostandosi su macchine non di loro proprietà, e comunicando con sistemi di messaggistica non facilmente intercettabili, ma molte videoriprese effettuate nei luoghi degli incontri li hanno inchiodati alle loro responsabilità.
Nel terzo caso ricostruito dalla procura, invece, la vittima è una donna che intendeva procurare una patente falsa al figlio. Gli indagati, approfittando delle debolezze della vittima, le avrebbero fatto credere di essere in grado di trovarle il documento, grazie alle loro «conoscenze nella camorra». Ma ovviamente era solo un’altra trappola. «Sappiamo che volevi comprare la patente a tuo figlio, se non vuoi che riveliamo tutto ci devi pagare», il ricatto, così come ricostruito dai carabinieri. A quel punto, tra minacce di morte a lei e al figlio, sempre spacciando fantomatiche conoscenze nella malavita («Quella è gente con cui non si scherza, potrebbero ingaggiare un sicario», dicevano), l’avrebbero costretta a consegnare addirittura 80 mila euro. Soldi che «bruciavano» in serate mondane, fino a che, alla loro porta, non si sono presentati i carabinieri.