Morti in ospedale, ergastolo all’«angelo della morte»
Condannato l’ex vice-primario Leonardo Cazzaniga
Igiudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio hanno condannato all’ergastolo Leonardo Cazzaniga, l’ex viceprimario del pronto soccorso di Saronno, accusato di 15 omicidi: 12 di pazienti in corsia e tre di familiari della sua ex compagna, l’infermiera Laura Taroni. Quattro anni fa le indagini portarono all’arresto dei due. Non furono cure palliative, dunque, secondo i giudici di primo grado, ma vi fu volontarietà nell’applicare il «protocollo Cazzaniga», un mix di farmaci letali.
VARESE È rimasto impassibile di fronte alla Corte d’Assise di Busto Arsizio durante la lettura del dispositivo della sentenza seguita a una camera di consiglio durata l’intero pomeriggio e che lo ha inchiodato alle sue responsabilità costate, secondo il tribunale, la vita a 12 persone: ergastolo. Leonardo Cazzaniga, l’ex vice primario del pronto soccorso di Saronno che si descriveva come «l’angelo della morte», è sparito subito dopo la lettura della sentenza pronunciata dal presidente Renata Peragallo. Era assediato dalle telecamere, non ha detto parola dopo l’ergastolo (ma anche tre assoluzioni) per quella scia di morti ripercorse in un anno e mezzo di processo, dopo le indagini che quattro anni fa portarono al suo arresto assieme all’infermiera Laura Taroni, sua amante, condannata in appello a trent’anni.
Cazzaniga dovrà scontare la pena dell’ergastolo con isolamento diurno di tre anni ed è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Il commento alla decisione dei giudici è lasciato alle parole del difensore Ennio Buffoli: «L’impostazione accusatoria ha tenuto, la sentenza si rispetta, ora attendiamo le motivazioni. Il tema forte da capire è come si sostiene la volontarietà degli omicidi in ospedale, uno dei punti sui quali noi avevamo spinto molto in sede di discussione anche sulla base di quella che era la perizia disposta dalla Corte d’Assise. Faremo valere le nostre ragioni in appello».
Non furono cure palliative, dunque, secondo i giudici di primo grado, ma vi fu volontarietà nell’applicare il «protocollo Cazzaniga», mix di farmaci letali che portava i pazienti alla morte. Ora il medico tornerà in carcere: è apparso particolarmente provato già durante le dichiarazioni spontanee della mattina e aveva fatto capire di vivere una situazione emotiva forte, «da quel fatidico 29 novembre 2016 (giorno del suo arresto) alla mia vita è sempre stata compagna la mia morte, il suo pensiero e la sua accudente presenza hanno rappresentato e ancora rappresentano il mio unico faro, l’orizzonte verso cui gettare il mio sguardo». Condanne per due anni e sei mesi oltre a 250 euro di multa sono fioccate anche per i componenti della commissione medica interna all’ospedale, ritenuti responsabili dei reati di «omessa denuncia» e «favoreggiamento», commissione che aveva il compito di dover fare chiarezza su quei comportamenti al limite segnalati da due infermieri che in seguito si rivolsero alle forze dell’ordine e da cui partirono le indagini. «Rifarei tutto», aveva affermato prima della pronuncia dei giudici Clelia Leto, l’infermiera che per prima si accorse dei comportamenti anomali da parte del medico e che al termine dell’udienza ha preferito non commentare.
In aula hanno assistito anche diversi parenti delle vittime, molti malati terminali ma anche persone trovatesi al posto sbagliato al momento sbagliato, come Angelo Lauria, finito nel reparto di Cazzaniga per esami clinici: «Non abbiamo mai creduto al fatto che abbia accompagnato a una morte dignitosa i suoi pazienti», ha commentato in aula Loredana Lauria, figlia della vittima. Per Gabriella Guerra, sorella di Massimo Guerra una delle vittime e marito dell’ex compagna dell’imputato, «quello che mi fa stare più male è che non ha mai dimostrato il minimo dispiacere per le persone che sono morte».
Corte d’Assise
Il medico si è sempre difeso sostenendo che somministrava «cure palliative» ai pazienti