«Capiamo cosa vivono» La Comunità ebraica accoglie profughi siriani
In arrivo da Aleppo. L’aiuto interreligioso
Nel giorno della Memoria, l’Unione delle Comunità ebraiche Italiane (Ucei) e la Comunità ebraica di Milano per la prima volta decidono di accogliere a proprie spese una famiglia di profughi musulmani scampati alle bombe in Siria. «Il malessere di chi è costretto ad allontanarsi dal proprio Paese è un punto sensibile per gli ebrei, sollecitati come siamo dalla nostra stessa esperienza storica», dice Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Ucei. Mamma, papà, quattro figli piccoli e uno zio originari di Aleppo, sfiniti dopo anni in un campo profughi in Libano e pronti ad iniziare la loro nuova vita, arrivano oggi a Milano con il corridoio umanitario attivato da Comunità di Sant’Egidio, Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. «In un clima segnato dalla logica dei muri e dell’antisemitismo crescente, con parole d’odio coperte dall’anonimato della rete che arrivano persino ad una testimone come Liliana Segre, ebrei e cristiani accolgono questa famiglia musulmana. È un gesto simbolico, è la forza delle comunità trasversali di credenti di varie religioni», spiega Giorgio Del Zanna di Sant’Egidio. La famiglia verrà alloggiata in un appartamento messo a disposizione da Fondazione Arca in zona Vigentino,
mentre le comunità ebraiche provvederanno alle spese e i volontari di tutte le religioni li aiuteranno in tutti i passaggi fino all’autonomia, come l’iscrizione dei bambini a scuola, la ricerca di un lavoro, lo studio dell’italiano, le cure per una delle figlie che soffre di una forma grave di diabete.
«Ad Aleppo facevamo i sarti nel quartiere popolare di Al Haydariye, il nostro sogno sarebbe avviare un’attività simile a Milano — raccontano Jumaa ed Elham Almohammad —. La guerra ha fatto a pezzi la nostra vita, c’erano i bombardamenti, le persone venivano rapite, il cibo non si trovava, neanche il latte da dare ai bambini».
Nel 2014, quando la situazione in Siria è diventata insostenibile e troppo pericolosa, si sono rifugiati in Libano: «Abbiamo impiegato 13 ore per un percorso che normalmente si può fare in quattro. Ad ogni posto di blocco l’autista ci diceva di nasconderci sotto i sedili e pregare», ricordano. L’esilio li ha stremati, il biglietto di sola andata per Milano restituisce loro la fiducia. Rilancia il presidente della comunità ebraica milanese Milo Hasbani: «Spero di replicare questo progetto, anche con altre associazioni come il Bene Berith, l’Ame, Federica Sharon Biazzi onlus, o Hashomer Hatzair e Benè Akiva», dice. Dal 2016 oltre 2.800 persone sono arrivate in Italia
I vertici dell’Ucei
«Il malessere di chi è costretto a lasciare il proprio Paese è per noi un punto sensibile»
grazie ai corridoi umanitari, ricorda ancora Stefano Pasta di Sant’Egidio: «Questo canale di ingresso è l’unica alternativa razionale alle politiche dei muri, dei porti chiusi e dei morti in mare. È autofinanziato e funziona, noi tutti confidiamo che l’Europa e l’Italia lo stabilizzeranno al più presto».