Giù la maschera, Arlecchino!
Natalino Balasso è il «servitore di due padroni» diretto da Binasco
«Non è il tipico funambolo portato in scena da Strehler ma una figura neorealista»
Niente crinoline, brache e giubbe, maschere nere o costumi tricolori per l’«Arlecchino servitore di due padroni» che il regista Valerio Binasco ha riletto per lo Stabile di Torino, spettacolo che arriva da stasera all’Elfo Puccini carico di successi. In scena prendono piuttosto vita personaggi e situazioni del Dopoguerra, in un’ambientazione neorealista dal gusto cinematografico. «Il lavoro fatto “spoglia“un po’ l’Arlecchino che siamo abituati a vedere, specie se si pensa alla versione strehleriana», spiega convinto Natalino Balasso che il regista ha voluto nei panni del protagonista. «Il nostro non è l’Arlecchino della Commedia dell’Arte: non ha la maschera, è una persona che patisce, prende le botte e soffre davvero. Binasco è partito dal presupposto che tutto quello che i personaggi dicono e fanno sia vero. E ha chiesto a noi attori di comportarci di conseguenza. Questo ha portato verità e sentimento sul palco, che poi sono la cifra stilistica delle sue regie».
Insieme, fra gli altri, a Michele Di Mauro, Fabrizio Contri, Elisabetta Mazzullo e Gianmaria Martini, Balasso diventa così una delle pedine di una vicenda che fa ridere, ma con un fondo insopprimibile di malinconia e più di una sfumatura noir. «Non c’è un giocoliere-funambolo intorno a cui ruotano tutti, ma è uno spettacolo corale», prosegue Balasso: «è una storia raccontata da tanti personaggi, in mezzo ai quali Arlecchino è suo malgrado quello principale, quello che senza saperlo e volerlo fa del male… ma in modo innocente, come un bambino. Con un attore come me, che tende a fare cose comiche, Binasco è andato a toccare corde che non si vedono di solito. Così è stato più difficile da interpretare: magari avessi dovuto fare salti ed evoluzioni, nonostante il mio fisico! Invece si è trattato di un lavoro più profondo sull’essenza del personaggio, sulle sue motivazioni ultime: è uno che “ha fame“di lavoro, che è depresso, ma è anche tenero, infantile… È stata una fortuna lavorare con Binasco che è anche un ottimo attore; senza di lui non sarei riuscito a dare al mio Arlecchino lo spessore con cui è uscito, le tante sfaccettature che ne mettono in evidenza la profondità del pensiero… È un lavoro di teatro contemporaneo: Binasco ha riscritto alcune scene, ma meticolosamente ha mantenuto le parole di Goldoni. Così c’è un linguaggio settecentesco in un’ambientazione da commedia all’italiana del Dopoguerra dove le maschere sono tutte cadute, come in fondo voleva lo stesso Goldoni».