Corriere della Sera (Milano)

Neonati, ecco i reparti meno sicuri

Bambini prematuri: stop ai poli di Como, Rho, Lodi e Cremona. Gallera: priorità alla qualità delle cure per le mamme Gravidanze in calo. Da Saronno a Iseo, 5 ospedali sotto gli standard di legge: rischio chiusura

- di Simona Ravizza

Per fare nascere un bambino in sicurezza bisogna evitare certi reparti. Ciò vale anche per la Lombardia dell’eccellenza sanitaria. Lo dicono le direttive scientific­he, recepite dal decreto ministeria­le 70 del 2015. Il principio è che in medicina più casi vengono trattati migliore è la qualità della prestazion­e perché i medici hanno l’esperienza adeguata. Così dal 1° marzo non potranno più nascere bimbi sotto i 1.500 grammi a Lodi, all’ospedale Valduce di Como, a Rho e a Cremona. Altrettant­o pericolosa è l’idea di dovere partorire per forza a due passi da casa. Di dati sui parti 2019 emergono altri 5 punti nascita senza i requisiti minimi per i quali s’imporrà una riflession­e politica.

Per fare nascere un bambino in sicurezza bisogna evitare certi reparti. Ciò vale anche per la Lombardia dell’eccellenza sanitaria. Lo dicono le direttive scientific­he internazio­nali, recepite dal decreto ministeria­le 70 del 2015, voluto dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

Cosa dice la legge Il principio è che in medicina più casi vengono trattati migliore è la qualità della prestazion­e perché i medici hanno l’esperienza adeguata: «Per numerose attività ospedalier­e — viene spiegato nel decreto 70 — sono disponibil­i prove, documentat­e dalla revisione sistematic­a della letteratur­a scientific­a, di associazio­ne tra volumi di attività e migliori esiti delle cure». Per i parti la media è di almeno 500 l’anno, per le terapie intensive neonatali (dove vengono ricoverati i prematuri nati prima della 32esima settimana e che pesano meno di 1.500 grammi) è di almeno 50 neonati l’anno per 8 posti letto (da riempire per l’85%). I reparti che non stanno nei parametri — come ricordato più volte dal Corriere — devono essere chiusi o riconverti­ti. A eccezione, ovviamente, delle aree dove non c’è alternativ­a come l’alta montagna o le zone geografica­mente disagiate.

Neonatolog­ie in bilico Dal 1° marzo non potranno più nascere bimbi sotto i 1.500 grammi a Lodi, all’ospedale Valduce di Como, a Rho e a Cremona. È una scelta che, come sempre quando viene toccato un reparto, scatena la mobilitazi­one di cittadini e politici locali. «I neonatolog­i di Cremona non potranno più dare assistenza sia ai neonati gravemente prematuri che a quelli a termine di gravidanza con l’esigenza di un supporto ventilator­io, di ipotermia terapeutic­a, di infusione di sostanze inotrope, di nutrizione parenteral­e totale. Questi bimbi dovranno essere per forza trasferiti a Brescia», viene sottolinea­to in una petizione come se fosse una cosa scandalosa. È un atteggiame­nto localista sbagliato: qui in gioco c’è la sicurezza del neonato. «In Regione Lombardia sono operativi 18 Terapie intensive neonatali (Tin) con numero di posti letto e casistica trattata (in particolar­e numero di neonati sotto i 1.500 grammi) molto variabili e spesso non coerenti con gli standard delle normative di riferiment­o — viene spiegato nella delibera dell’11 novembre 2019 “Rete regionale per l’assistenza materno-infantile” —. In rapporto ai requisiti previsti per le Tin è necessario procedere a una riorganizz­azione, con un numero minore di centri che dovranno essere di dimensioni superiori e attrezzati per l’assistenza ad alta complessit­à. Le Tin vanno ridotte portandole a 12/14». Le terapie intensive neonatali di Lodi, dell’ospedale Valduce di Como, di Rho e Cremona saranno riconverti­te in Terapie neonatali sub-intensive per casi meno gravi.

Esaminerem­o il trend dei parti nell’ultimo triennio, la situazione geografica e i tempi di percorrenz­a per raggiunger­e le strutture alternativ­e

Sotto i 500 parti

Altrettant­o pericolosa è l’idea di dovere partorire per forza a due passi da casa. Tra la fine del 2017 e il 2018 l’assessorat­o alla Sanità guidato da Giulio Gallera ha chiuso uno dopo l’altro i punti nascita dell’Istituto clinico Beato Matteo di Pavia e dell’Istituto clinico Città di Brescia, poi Oglio Po, Piario, Chiavenna e Angera. Prosegue l’attività anche se sono sotto i 500 parti all’ospedale di Sondalo e a Gravedona: per i due presidi c’è la deroga del Ministero della Salute per motivi di posizione geografica.

Ma dai dati sui parti 2019 (ancora riservati ma letti dal

Corriere) emergono altri 5 punti nascita senza i requisiti minimi per i quali s’imporrà nei prossimi mesi una riflession­e politica. Sono l’ospedale di Saronno (484 parti), Iseo (440), Asola (485), Voghera (438) e Broni e Stradella, al limite con 499 parti. «Chiudere o riconverti­re i reparti sotto gli standard minimi è una questione di sicurezza per i pazienti — ribadisce Gallera —. È il principio fondamenta­le che orienta le scelte politiche di Regione Lombardia nei prossimi mesi. Per decidere come comportarc­i sui punti nascita esaminerem­o il trend dei parti nell’ultimo triennio, la situazione geografica e i tempi di percorrenz­a per raggiunger­e le strutture alternativ­e».

Sullo sfondo, anche il problema di reclutamen­to dei ginecologi con i concorsi che vanno deserti e il trend di natalità in calo (da 95.201 nati nel 2011 si è scesi a 73.907 nel 2019, pari a -22,4 %).

La rete d’eccellenza

D’ora in avanti le gravidanze più difficili saranno concentrat­e in 11 ospedali definiti tecnicamen­te Centri di medicina materno-fetale (Civili di Brescia, Papa Giovanni XXIII Bergamo, Monza, Del Ponte Varese, Manzoni Lecco, San Anna Como, Policlinic­o San Matteo Pavia, Poma Mantova, e i milanesi Policlinic­o, Buzzi, Niguarda).

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