Manzoni secondo Testori
Al Parenti «I Promessi sposi alla prova»
Alla fine, quando la scena diventa vita e la peste manzoniana si confonde con le pestilenze imperdonate e imperdonabili dei nostri giorni, non si può che ringraziare Andrée Ruth Shammah e la compagnia dei teatranti toscani per aver risvegliato, con lo sdegno di Testori, i sentimenti che ogni giorno ci mettono alla prova. Perché paure, crudeltà, delusioni, amarezze, dolori, dubbi e viltà, ieri come oggi scavano fossati dentro l’animo umano, impongono veti, scardinano principi.
Per questo servono i Maestri, quelli con la maiuscola: per incoraggiare, indignarsi, pensare, ma soprattutto per spingerci a camminare da soli, in scena come nella vita, nei teatri del mondo come nella quotidianità del reale. Ricordandoci di non avere «né timore né vergogna» a bussare a una porta quando il male ci assedia. «Lei vi aprirà», assicura il Maestro. «Lei chi?», domanda una esitante Lucia. «La speranza», è la risposta
Dei «Promessi sposi alla prova», da domani sul palco del Teatro Parenti, si conosceva la forza letteraria e morale incisa in un testo che trentacinque anni fa poteva sembrare rivoluzionario. Oggi la sua riproposizione ne stabilisce una profetica attualità. Il romanzo di Alessandro Manzoni accolto, riscritto o tradito da Testori diventa il vetrino della crisi globale in cui si muovono interpreti e spettatori uniti da una perdita di confini e valori che si ritrovano soltanto riscoprendo l’umanità e la memoria. «Questo tempo di inquieE tudini ci chiede di tornare indietro per fare il punto, confrontarsi e rimettersi alla prova», spiega la regista Andrée Ruth Shammah, che ha ridato misura e freschezza al testo, omaggio al teatro e all’universalità del suo messaggio.
così i sei personaggi sul palco, volutamente lasciato con la stessa sobria scenografia del trionfale debutto, ci portano dentro l’universo di Renzo, Lucia, Gertrude, don Rodrigo, Agnese e Perpetua, ma riflettono il marcio di un sistema oscurato da prepotenti e mistificatori che oggi chiamiamo bulli e fake news. È nel Maestro il filo conduttore di una messa in scena che esige rispetto, serietà e senso del dovere, nel suo rigore verso i giovani recitanti nei quali lui stesso si identifica, e nella sua passione civile. Ed è Milano, città amata, odiata e straamata, che emerge con forza e con poesia, il luogo di cui si vede il lato infetto e dolente ma anche la luce alla quale ci si affida e si può chiedere aiuto. Milano «città crisma, città sigillo, città cesta dove riposeremo un giorno la nostra stanca testa… Città scorta, città porta, adoprati e accetta che sia questa prova il sì che veramente ti rinnova…». È il mondo manzoniano che parla, trasfigurato da Testori, che va oltre quel romanzo monumentale da studiare a scuola e risciacquato in Arno, che si intreccia con la cronaca e la drammatica attualità delle sopraffazioni, delle violenze sulle donne, degli odiatori in rete e, oggi, anche di un’epidemia che spaventa. Sotto la guida del Maestro si parla ai giovani, a chi si affaccia al teatro e alla vita con le sue insidie e i suoi muri da abbattere. C’era un’altra Italia e un’altra Milano nel 1984, quando «I Promessi sposi alla prova» incrociarono l’entusiasmo del pubblico. Ma rimangono ancora le stesse domande, le stesse solitudini, gli stessi giovani che cercano uno spazio, nel teatro e nella vita: chiedono di essere aiutati a sporgersi senza cadere nel burrone, o nell’abisso, come don Rodrigo. Bussano, anche loro, a una porta. Ma non sempre si apre.
I prepotenti e i mistificatori di oggi si chiamano bulli e fake news