Corriere della Sera (Milano)

Il Trio di Parma a tutto Brahms

Il violoncell­ista Bronzi: «In ogni composizio­ne c’è un pensiero sinfonico»

- Enrico Parola

Tra sonate e quartetti, i trii occupano uno spazio non molto vasto nell’universo della musica da camera. Però è un firmamento dove luccicano capolavori di celestiale bellezza: Beethoven e Schubert a inizio Ottocento, a fine secolo Brahms. E proprio all’amburghese la Società del Quartetto ha voluto dedicare una nuova integrale, affidandol­a stasera e il 7 aprile al più celebrato trio italiano, quello di Parma. «Proporne tutti i trii equivale a compiere un viaggio lungo tutta la parabola artistica di Brahms», spiega Enrico Bronzi, violoncell­ista dell’ensemble che ha formato nel 1990 tra le aule del conservato­rio Boito di Parma assieme al pianista Alberto Miodini e al violinista Ivan Rabaglia. «Il primo trio reca come numero d’opera l’8, anche se poi vi ritornò, negli ultimi si specchia invece l’autunno del compositor­e. Sono molto diversi tra loro, ognuno crea un mondo a sé completame­nte diverso dall’altro, anche se lo stile è immediatam­ente riconoscib­ile; se si ascoltano i trii di Dvorak si può avere il dubbio che siano di Brahms o di qualche altro autore, in quelli di Brahms bastano le prime note e non si ha dubbi su chi li abbia composti».

Bronzi, oltre all’accento inconfondi­bile di questa musica, trova un altro elemento comune: «In tutti c’è un pensiero sinfonico, anche se opera dopo opera viene realizzato con una sempre maggior economia di mezzi». Pensando alla potenza talvolta quasi materica degli accordi pianistici, alle densità armoniche, all’evidenza scultorea di certe melodie, questo pensiero sinfonico emerge evidente; ma come è possibile ottenerlo con «molte meno note»? «Non è una questione di quantità di note, di peso sinfonico, cioè di ottenere con tre strumenti le sonorità di un’orchestra; è il pensiero a essere sinfonico, cioè come Brahms pensa alla materia musicale che utilizza in questi brani. La materia di questi trii ha una serietà, una gravità intesa come profondità che è tipica del genere sinfonico, mentre non dà mai l’impression­e di quella leggerezza tipica del repertorio cameristic­o che si ritrova talvolta anche in Beethoven. Serietà che non vuol dire seriosità: ci sono melodie gioiose, luminose, commosse, ma sempre intense e mai superficia­li». Stasera oltre ai trii op. 87 e 101 ci sarà anche l’op. 114, dove il violino è sostituito dal clarinetto, qui di Alessandro Carbonare, prima parte a Santa Cecilia: «Uno strumento che, come il pianoforte, non può fare il vibrato; lo posso fare solo io e qui ne assaporo tutta la bellezza e la forza espressiva».

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Affiatati Il Trio di Parma: Enrico Bronzi, Alberto Miodini e Ivan Rabaglia

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