Il modello via Sarpi
UNO SCATTO NEL DIALOGO CON I CINESI
Innanzitutto complimenti a chi ha ideato la Notte delle bacchette, la serata che vedrà impegnati ristoranti, sale da tè, enoteche e gastronomie milanesi a sostegno della Cina. Le cronache di questi giorni sono impietose e si basano spesso sull’aggiornamento aritmetico del numero dei morti o dei contagiati dal coronavirus in Cina e nei vari continenti. Non si può dire che Milano abbia conosciuto una vera psicosi da contagio, però nell’hinterland è stato segnalato più d’un caso di discriminazione nei confronti di ragazzi cinesi.
La diffidenza si è tradotta, poi, in una ridotta presenza nei ristoranti cinesi della città e in una minore vivacità della vita quotidiana nel quartiere attorno a via Paolo Sarpi. Con due iniziative che hanno visto protagonisti prima l’assessore Cristina Tajani e poi il sindaco Beppe Sala l’amministrazione comunale si è fatta carico di questo clima, ha rilanciato valori e principi dell’amicizia tra le due comunità e ha rivolto un appello perché le attività della ristorazione cinese non fossero discriminate.
Ma proprio perché la città ha voluto far sentire la sua voce è forse il caso di approfittare di questo momento e proporre una riflessione più ampia. Sicuramente la Chinatown milanese prima di questa dannata vicenda era sugli scudi: non passava settimana che i giornali ospitassero servizi su via Sarpi raccontandone il clima effervescente, i buoni rapporti tra italiani e cinesi, il fiorire di nuove iniziative imprenditoriali.
Ed è vero che, anche solo partendo dal settembre ‘19, ovvero dopo le ultime ferie estive nelle vie di Chinatown, hanno aperto circa una dozzina di nuove imprese commerciali a capitali cinesi che hanno saputo proporre vari format di distribuzione e ristorazione. Non si sono registrate (tranne forse un caso) però analoghe novità di parte italiana anche se la frequentazione del quartiere nelle ore serali è in palese aumento da parte dei milanesi. Le novità imprenditoriali di cui sopra sono state interpretate da molti come una sorta di mutamento strisciante di via Sarpi che da centro dei grossisti cinesi di abbigliamento sta evolvendo in una street food cosmopolita. Vedremo se questa tendenza sarà confermata ma vale la pena, proprio in questi giorni, spingere il ragionamento in avanti e chiedersi se il dialogo tra le due comunità non possa darsi obiettivi più ambiziosi e non solo gastronomici. Oggi in Sarpi italiani e cinesi convivono e si rispettano ma per certi versi si sfiorano. Mancano luoghi e occasioni di confronto che da una parte creino una vita culturale del quartiere e insieme sappiano tessere il filo delle relazioni tra le due comunità, coinvolgendo in particolare le nuove generazioni. Perché al di là di via Sarpi i rapporti Milano-Cina sono strategici: è cinese la nazionalità più presente (di gran lunga) di studenti stranieri nelle università della città, vengono da lì i flussi turistici più interessanti, il Salone del Mobile si replica ogni anno a Shanghai e una delle due squadre di calcio — con tutta la valenza simbolica che ha questo sport in Italia — è di proprietà del gruppo Suning di Nanchino. Ben venga, dunque, la Notte delle bacchette e ben vengano pure riflessioni che tentano di spostare l’asticella più in alto.