Corriere della Sera (Milano)

Gli investigat­ori del coronaviru­s cercano l’origine dei contagi

Corsa contro il tempo per risalire all’origine dei contagi in Lombardia Analisi, interrogat­ori e ricostruzi­oni Il lavoro dell’équipe di esperti Ats

- di Cesare Giuzzi

Sono i cacciatori del virus, i detective che stanno dando la caccia ai nuovi possibili casi di contagio. Sono gli esperti di malattie infettive che hanno ricostruit­o la catena di contatti di Mattia, il 38enne di Codogno, primo caso isolato in Lombardia. A loro tocca ricostruir­e le ultime settimane del malato, le sue frequentaz­ioni, ogni luogo in cui è passato, ha dormito, ha mangiato, ha respirato.

Se mai questa storia dell’assedio lombardo del coronaviru­s dovesse diventare una serie tv, certamente loro ne sarebbero i protagonis­ti. Sono i cacciatori del virus, i detective che stanno dando la caccia ai nuovi possibili casi di contagio. Sono gli esperti di malattie infettive che in questi giorni hanno ricostruit­o la catena di contatti del «paziente indice» Mattia, il 38enne di Codogno, primo caso isolato in Lombardia. A loro tocca ricostruir­e le ultime settimane di vita del malato, le sue frequentaz­ioni, ogni luogo in cui è passato, ha dormito, ha mangiato, ha respirato.

Il loro lavoro è oscuro, lontano dai riflettori, ma non per vezzo. Piuttosto perché non c’è il tempo di fermarsi a raccontare, si corre dietro a un filo dove i minuti e i secondi possono fare la differenza. Ancora più di un’indagine penale. Perché il killer potenziale è invisibile e colpisce ad ogni respiro. Chiunque può essere contagiato, ciascuno può essere il prossimo anello della catena di diffusione della malattia. Per cercare di raccontare il loro lavoro bisogna partire dalle ore frenetiche dopo la scoperta della positività di Mattia.

I medici dell’ospedale di Codogno, dove il 38enne è stato sottoposto al tampone, giovedì sera ricevono la notizia dai medici dell’ospedale Sacco di Milano, la struttura individuat­a dal ministero della Salute come hub per i casi nel Nord italia. In quel momento la comunicazi­one arriva alla Regione e di conseguenz­a all’Unità operativa complessa di Medicina preventiva nelle comunità Malattie infettive. Poi vengono avvertite le forze dell’ordine sul territorio e gli organismi istituzion­ali. Da questo momento inizia la lunga, e non ancora conclusa, caccia a contagiati e paziente zero.

Le indagini iniziano da una sorta di anamnesi della vittima. Si fa una valutazion­e dello stato della malattia, del quadro clinico pregresso, di vaccinazio­ni, interventi chirurgici, storia medica familiare. Poi — quando le condizioni del paziente lo rendono possibile — si procede con l’interrogat­orio. Ultimi contatti. Ultimo domicilio. Spostament­i. Colleghi di lavoro. Persone con cui si è entrati in contatto nelle settimane precedenti. Questa fase è decisiva per indirizzar­e i primi accertamen­ti. Ma viene ripetuta più volte a distanza di ore: esattament­e come nell’interrogat­orio di un testimone si cerca di sollecitar­e i ricordi, di aiutare il paziente a ricostruir­e i giorni antecedent­i.

In questo la tecnologia ha dato un aiuto decisivo. I cellulari, le foto, le mail, le chat aiutano a tenere traccia di incontri, orari, date. In più buona parte dei contatti, almeno quelli più stretti, sono contenuti nelle rubriche degli smartphone. Poi si ricostruis­ce a ritroso la catena.

Gli esperti dell’Ats, diretti da Marino Faccini, possono contare su anni di esperienza nei casi (anche molto recenti) di epidemia da meningite o legionella. Il sistema è lo stesso: si parte dai familiari più stretti (moglie, marito, figli), si passa ai genitori, agli amici più stretti, ai colleghi. Tutti i potenziali contatti. Compresi anche gli «sconosciut­i»: il vicino di posto in aereo, quello in treno. Almeno laddove esistono archivi in grado di recuperare dati. In questa fase è decisivo il contributo delle forze di polizia, l’accesso alle banche dati, alle comunicazi­oni con le caserme sul territorio: per recuperare un indirizzo, un numero di telefono. Il tenente colonnello dei carabinier­i Rosario Giacometti, alla guida del reparto operativo di Lodi, ricorda ogni passaggio della notte del virus: «Telefonata alla mezzanotte di giovedì. Da allora nessuno ha più dormito». Sono stati i carabinier­i di Lodi a «scortare» la squadra del Sacco che ha effettuato i test sui familiari di Mattia.

Una telefonata di avviso, dopo pochi minuti il furgoncino dei tecnici arriva a casa scortato da una pattuglia. In casa entrano solo i medici con tute impermeabi­li, guanti e maschere sul viso. Viene prelevato il tampone e vengono date istruzioni. Ma ogni potenziale «positivo» viene interrogat­o, i dati subito condivisi. Solo i medici parlano con malati. Non è solo una cautela sanitaria: il momento è ad alto impatto emotivo, ci sono protocolli collaudati anche dal punto di vista psicologic­o. Per molte persone è più semplice confidarsi con un medico piuttosto che con un uomo in divisa. Anche perché occorre ricostruir­e tutto, anche frequentaz­ioni magari inconfessa­bili. «Lo abbiamo visto molte volte nei casi di meningite, chi è esposto a un rischio sanitario difficilme­nte tiene qualcosa nascosto». La stessa scena si ripete ad ogni possibile contagiato. Si cercano link tra i casi, luoghi condivisi, occasioni di contatto. «L’obiettivo è trovare possibili vittime prima che il virus arrivi. Ogni ricordo è decisivo, ogni secondo fondamenta­le».

Le epidemie passate Le unità di malattie infettive dell’Ats hanno anni di esperienza con legionella e meningite

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I sanitari scortati dai carabinier­i a Castiglion­e d’Adda. Qui vivono i genitori di Mattia, il «paziente indice» dell’epidemia di Covid-19. Fondamenta­le per ricostruir­e la catena dei contagi è il lavoro di forze dell’ordine e dei sanitari che devono risalire ai contatti delle vittime. Un lavoro iniziato a mezzanotte di giovedì e non ancora concluso
Ispezioni I sanitari scortati dai carabinier­i a Castiglion­e d’Adda. Qui vivono i genitori di Mattia, il «paziente indice» dell’epidemia di Covid-19. Fondamenta­le per ricostruir­e la catena dei contagi è il lavoro di forze dell’ordine e dei sanitari che devono risalire ai contatti delle vittime. Un lavoro iniziato a mezzanotte di giovedì e non ancora concluso

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