Tribunale con le aule semideserte «Anche la legge deve rallentare»
I corridoi sono quasi deserti, anche se ci sono aule in cui si svolgono udienze, il Covid19 sembra aver fatto svanire gran parte delle 6 mila-8 mila persone che in media ogni giorno frequentano il palazzo di giustizia di Milano, dove ora l’attività sembra andare al rallentatore. Sono anche le conseguenze, apparenti, dei provvedimenti presi dai capi degli uffici giudiziari nelle riunioni dirette dal presidente della Corte d’appello Marina Tavassi.
Presidente, cosa succede? «La situazione è abbastanza calma, le udienze si svolgono regolarmente e sembra che le indicazioni che abbiamo offerto come presidenza della Corte d’appello, condivise dai capi degli uffici, siano state efficaci ed in linea con le direttive dei Ministeri della salute e della giustizia».
Perché non sono stati sospesi tutti processi, come qualcuno ha chiesto? «Perché per sospendere tutte le udienze è necessario un provvedimento normativo specifico, una legge che blocchi la decorrenza dei termini, alcuni dei quali sono perentori, e che consenta poi di recuperare il tempo perduto. Se promulgheranno nuove norme in questo senso, noi ci atterremo ad esse».
Quali sono stati i primi provvedimenti che avete adottato?
«Muovendoci nell’ambito dei confini definiti dalle leggi vigenti e nel rispetto delle indicazioni sanitarie che ci sono pervenute sia a livello centrale, dal ministero della Salute e dalla Protezione Civile, sia locale, dalla Prefettura e dalla Regione Lombardia, lunedì mattina abbiamo dato le prime direttive che, poi, sono state considerate come quelle che hanno meglio attuato le indicazioni provenienti da Roma, tanto è vero che sono state diffuse sul territorio come esempio di ciò che era giusto fare in questa situazione».
La prima cosa? «Abbiano dato mandato all’impresa di pulizie che lavora nel palazzo di fare subito una disinfezione secondo le indicazioni del ministero della Salute. Abbiamo disposto che non venisse in servizio personale proveniente dalle zone a rischio, magistrati, giudici onorari e amministrativi e quello delle imprese esterne che lavorano nel palazzo». Avete anche limitato le presenze nelle aule, nelle cancellerie e un po’ in tutto il palazzo che sembra deserto.
«Siamo intervenuti sulle modalità di svolgimento delle udienze e nella ricezione dell’utenza che accede alle cancellerie per certificati e deposti di atti dando anche raccomandazioni generali, come l’adozione della distanza di almeno due metri tra le persone e, laddove non era possibile perché le stanze erano troppo piccole, abbiamo trasferito i servizi in uffici più ampi». Però in alcune udienze, come in quelle per gli sfratti, ed anche in alcune penali o del giudice di pace, c’è stata lo stesso una presenza eccessiva di avvocati e parti. Come mai?
Burocrazia Il rilascio o deposito di atti vanno fatti negli uffici, non si può fare altrimenti
«Abbiamo avuto le segnalazioni. Ci stiamo adoperando per ovviare a questi problemi, anche se spetterebbe al giudice che dirige l’udienza».
Ci sono casi di persone contagiate nel palazzo? «Assolutamente no». Qualcosa di positivo può arrivare da questa situazione, ad esempio una maggiore diffusione delle comunicazioni telematiche e dello smart working?
«Certo, però nell’immediato non siamo in grado di adottare il lavoro a distanza. Possiamo potenziare la scrittura delle sentenze da parte dei giudici a casa, ma l’attività delle cancellerie, come il rilascio o deposito di atti, va fatta negli uffici, al momento non si può fare diversamente».
È solo un’impressione che il mondo che ruota intorno alla giustizia abbia improvvisamente rallentato?
«Ha rallentato, certamente, ma vorrei dare questo messaggio positivo: con calma, con senso del dovere e spirito di grande collaborazione tra avvocati, personale e magistrati, le attività stanno andando avanti con una relativa regolarità. Milano ha reagito bene, con determinazione, senso di responsabilità, serenità e voglia di lavorare, cosa che, si sa, qui non manca».