«Io, primario in pensione: disponibile a dare un aiuto»
Porro, ex Policlinico: noi già attivi nel privato
Pensionati richiamati negli ospedali? Per l’ex primario del Policlinico oggi 71enne, Fernando Porro, è una strada percorribile: «Si tratta di un pensiero che non è per me alieno, come immagino per molti altri colleghi che già lavorano per il privato. Ora che sono in pensione copro due turni alla settimana in un pronto soccorso di un istituto convenzionato. Forse lo farebbero anche i miei colleghi, ma la risposta è personale».
«Ritornare a lavorare in ospedale? Lo farei per qualche tempo». Fernando Porro, 71 anni, è stato a lungo primario al Policlinico. Ha lavorato prima nel reparto di medicina d’urgenza e poi al pronto soccorso, fino al 2015. A lui e ad altri colleghi in pensione la Regione chiede aiuto per affrontare l’emergenza coronavirus. L’assessore alla Sanità Giulio Gallera dice che assumerà medici in quiescienza e specializzandi, purché qualificati: servono rinforzi per curare i contagiati.
Dottore, sarebbe disponibile a tornare «in trincea» per combattere il virus? «Non è un pensiero che mi è alieno. Io lo farei per qualche tempo, l’attività mi è sempre piaciuta e anche ora che sono in pensione copro due turni alla settimana nel pronto soccorso di un istituto convenzionato. Forse lo farebbero anche i miei colleghi». Non si chiede troppo a chi ha già dato? Il sindacato Anaoo Assomed ha criticato la proposta.
«L’attività è molto impegnativa, anche fisicamente. Bisogna ascoltare i pazienti, comunicare, fa parte della cura e questa attenzione alla persona assorbe energia. Inoltre è un ruolo multitasking. Arrivi a fine giornata e sei stanco, non essendo più giovane. Credo che un medico in pensione possa farlo, ma solo per un paio di turni alla settimana».
Qualcuno potrebbe dire no per timore del contagio?
«La risposta è personale. All’inizio potevano esserci alcuni punti interrogativi. Ora sappiamo quello che dobbiamo fare, sappiamo come prepararci ancor prima che un contagiato si affacci al pronto soccorso. I protocolli ci rendono un po’ più tranquilli, anche se non lo si può mai essere del tutto».
Si fa fatica a trovare specialisti in emergenza-urgenza. Alle nuove leve non piace questo settore?
«È possibile che i giovani chiedano più tempo per sé, come tante discipline richiede confronto e studio. Uno svantaggio del lavoro nei pronto soccorso è che vedi il malato, cerchi di fare una diagnosi ma poi non lo segui. È motivo di insoddisfazione. Per questo con l’associazione di categoria Simeu stiamo cercando di valorizzare il ruolo del medico d’urgenza».
Nella sua carriera ha già dovuto confrontarsi con altre epidemie?
«Ho affrontato la Sars, che aveva destato un certo allarme. In quel caso ci eravamo preparati per l’ingresso dei pazienti malati. Anche ebola e l’influenza aviaria avevano generato protocolli di accoglienza specifici, ma l’impatto sulla società era stato molto diverso».
Come affrontare un’emergenza di queste dimensioni?
«Situazioni di questo tipo richiedono una grande collaborazione interdisciplinare tra i medici, gli infermieri, la direzione sanitaria e chi si occupa della normale amministrazione di un ospedale».
Le scelte
Decisioni personali: io lo farei e come me penso altri colleghi Ma a una certa età è molto impegnativo