Il violino è la mia vita
Gennaro Cardaropoli, talento in ascesa
Ha già suonato Ciajkovskij con la Verdi in Auditorium, è l’unico italiano capace di vincere il concorso Grumiaux, ha suonato a Berlino, Vienna e New York; e compirà 23 anni il 20 ottobre. Nel panorama violinistico internazionale, Gennaro Cardaropoli è uno dei volti nuovi e più promettenti. Salernitano, si è trasferito a Milano cinque anni fa mantenendo quell’accento che i melomani identificano immediatamente con Riccardo Muti.
Come ha incontrato la musica?
«Respirandola in casa, fin da piccolo. Mio padre insegnava tromba e trombone in Conservatorio, mia madre era un’appassionata. A sei anni iniziai con il pianoforte, ma volli subito passare al violino perché ero molto competitivo e ai miei occhi di bimbo mi sembrava uno strumento più difficile da imparare: all’inizio più che note mi uscivano urla. Ebbi la fortuna di incontrare un grande maestro, si chiamava Gigantino; all’inizio non è che fossi proprio un secchione, cercavo di cavarmela soprattutto con il talento, ma lui mi spingeva a studiare e a suonare almeno due ore al giorno».
Quando ha capito che voleva
diventare musicista?
«A 12 anni. Al venerdì sera prendevo il treno con le cuccette per Venezia — le prime volte accompagnato dal babbo, poi da solo — arrivavo nel pomeriggio di sabato per la lezione, il ritorno nella notte e il pomeriggio della domenica dedicato ai compiti di scuola. Lo facevo quasi meccanicamente, quando mi resi conto che era un sacrificio davvero impegnativo (ma non ci pensavo) capii che in me la passione era grande. A poi al liceo, i professori che mi dicevano di studiare di più — ero bravo in matematica e inglese, nel resto sopravvivevo — perché con la musica avrei fatto la fame».
E quando ha capito di poterlo diventare?
«A 13, quando il mio maestro a Venezia mi disse che per me non c’era futuro nella musica. Scosso nell’orgoglio — credo fosse proprio quello il suo intento — studiai ancora di più, sempre di più e così l’anno successivo vinsi tutti i sessanta concorsi cui presi parte».
Poi vennero anche i concorsi più prestigiosi...
«Quello della Filarmonica della Scala fu il coronamento di un sogno perché la Scala è un sogno per tutti i musicisti; il Premio Abbado fu importantissimo per il prestigio e il Grumiaux perché non l’aveva mai vinto nessun italiano e in quell’edizione, nel 2015, ero l’unico italiano in gara. La stragrande maggioranza erano cinesi, giapponesi e coreani, già avviati e con strumenti ottimi, mentre io suonavo il mio vecchio violino da mille euro con l’archetto da 250. Quando pronunciarono il mio nome pensai si fossero sbagliati. Da lì mi si sono aperte le porte di tante sale importanti: penso alla Carnegie Hall, al Musikverein o alla Fenice».
Nel frattempo il violino sarà cambiato.
«Oggi suono un Guarneri appartenuto a Milstein o Szeryng; è vero che uno strumenmio to si impregna dell’anima di chi l’ha suonato: il timbro di questo gioiello non è solo caldo, ma trattiene un po’ lo stile di quei due grandi virtuosi. Me l’ha messo a disposizione la fondazione Pro Canale, che mi ha anche sostenuto nei miei primi passi in Italia».
Difficile essere profeti in patria?
«Beh, io sono la prova che la meritocrazia esiste. Ho vinto la cattedra al Conservatorio di Bergamo a vent’anni, superando violinisti quarantenni già affermati. Il mio sogno era diventare solista e insegnante perché vedevo la passione di padre; quando scelsi il violino ne approfondì le teoria e ne sa più di me. Insegnare anche a musicisti più grandi di me mi arricchisce e mi rende più cosciente di tante intuizioni».
Altri sogni nel cassetto?
«Ho suonato nella sala da camera della Philharmonie di Berlino, così mi piacerebbe suonare nella sala grande il concerto di Ciajkovskij, con cui ho vinto il Grumiaux; e alla Scala vorrei suonare la Scala il concerto di Brahms, che scelsi per l’Abbado».
Io sono la prova che la meritocrazia esiste. Ho ottenuto la cattedra al Conservatorio di Bergamo ad appena vent’anni