Il rettore Verona «La Milano hi-tech saprà rialzarsi»
Il rettore Verona promuove il network delle università «La comunità accademica si è rivelata solida Didattica e ricerca, acceleriamo sulle tecnologie»
«Quando anche questa emergenza sarà passata, tutti quanti potremo contare sulla convinzione che, come si dice, ciò che non ti uccide ti fortifica. E tutti quanti, università, città e Paese potremo ripartire con la nostra identità costruita nel tempo». Il rettore della Bocconi, Gianmario Verona, prova a proiettare i pensieri sul futuro prossimo e a immaginare cosa resterà di queste settimane fuori dal tempo.
Ora che un nemico invisibile come solo un virus può essere sta mettendo seriamente alla prova la vita di tutti, persone, istituzioni, aziende. Con una punta di orgoglio: «Noi della Bocconi potremo dire che non ci siamo fermati, non abbiamo mai veramente chiuso». E un fotogramma malinconico: «Addolora non vedere i ragazzi, la loro presenza è il lato più bello di ogni ateneo».
Professor Verona, come si vive questo momento da una posizioni come la sua, con la responsabilità di una vasta comunità e di una istituzione culturale?
«Per fortuna non sono solo, qui c’è una tradizione di governance condivisa e in più, proprio per questa emergenza sanitaria, la comunità dei rettori si è rivelata solida. Siamo stati tutti pronti a mettere in comune idee, preoccupazioni prassi. Insomma, un vero network che ha permesso di arrivare a decisioni fondate su esperienze già condivise da persone che ci hanno messo la testa. E poi, grazie a Dio, abbiamo Internet».
Però vi siete trovati, come tutti noi, di fronte a un fatto assolutamente nuovo.
«Sì, questa situazione è una novità assoluta, più grande di noi. Negli ultimi vent’anni c’è stata una abbondante produzione in materia di crisis management, il tema delle decisioni in situazioni di incertezza è stato ampiamente esplorato. Ma in questo caso non si tratta di un’azienda ma di un intero territorio coinvolto in una vicenda che ha dimensioni globali».
Adesso qual è la situazione da voi alla Bocconi?
«Mi piace poter dire che la Bocconi è aperta, anche se procurano dispiacere l’assenza della materia prima dell’università, i nostri ragazzi, e anche vedere deserto il nostro nuovo campus, bellissimo e appena inaugurato. Ma sappiamo che è solo questione di tempo e intanto di positivo c’è la reazione di tutti per fare il possibile e mandare avanti le attività: sia la ricerca, che in ambito sociale può procedere anche in remoto, sia la didattica, sebbene sia meno semplice».
Cioè corsi online?
«Sì, noi ci stiamo lavorando già da qualche anno e avevamo già pronti diversi corsi cosiddetti Mooc (Massive online open courses), insomma l’aula digitale. È una tendenza in crescita, già oggi possiamo dire che su circa 900 corsi proposti in un anno almeno il 30 per cento è su piattaforma a livello avanzato, con tanta formazione anche per i docenti. E questo è partito prima del virus, perché questo fa parte del futuro, ma probabilmente quando questa emergenza sarà passata ci ritroveremo con una maggiore esperienza anche in questo ambito, la dimensione digitale del lavoro e della formazione sarà familiare per un più ampio numero di persone».
La Bocconi, tuttavia, opera in un contesto territoriale che dal punto di vista economico è abituato a essere un traino molto forte e che adesso, invece, si trova di colpo bloccato. Cosa succederà «dopo» tutto questo? «Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto capire l’ampiezza geografica di questa emergenza. Io non mi capacito all’idea che sia un problema soltanto italiano, sebbene i nostri numeri di export, di rapporti con la Cina e di turismo ci espongano a flussi globali, virus compresi. Quindi, prima di tutto dovremo capire quanto si espanderà l’epidemia a livello nazionale o continentale, dopodiché ci sarà da rimboccarsi le maniche per ripartire, senza dubbio con il supporto del governo Italiano e di quello europeo».
Con quali obiettivi? «Proteggere immediatamente le attività produttive e l’export, ma anche lavorare moltissimo sul versante dell’immagine, perché l’economia del turismo è importante per Milano e per l’Italia. Questa città ha saputo rialzarsi e ripartire alla grande dopo ogni bastonata. E oggi le tecnologie ci aiutano».
E cosa succederà ai segmenti più deboli dell’economia, cioè i lavoratori fragili
L’analisi Bisogna proteggere attività produttive ed export e lavorare sul brand della città
che popolano anche questa città così performante?
«In tutto il mondo sono sempre più studiati e adottati modelli e strumenti inclusivi. Si va comunque in quella direzione, ma certo dopo una crisi di questa portata bisognerà aprire molto velocemente per non penalizzare chi è più esposto e vulnerabile».
Secondo lei come è stata, finora, la comunicazione istituzionale su questa emergenza?
«All’inizio c’è stata una certa prevalenza del dibattito politico su quello scientifico e tecnico, poi giustamente è stata concessa la priorità alle competenze. E purtroppo i social network hanno rivelato ancora il loro lato oscuro, forse non siamo ancora maturi nell’utilizzarli. Ora il punto è spiegare che non siamo alle prese né con un’influenza né con la peste, ma con un virus complesso che provoca strozzature a livello sanitario».