Talpa e truffa in Tribunale
I pm: falla nella legge sui fallimenti. Un cancelliere tra i 6 arrestati
Al Tribunale Fallimentare i giudici, tra il 2012 e il 2018, sono stati vittime di un inganno innestato su una falla nella legge sulla sorte dei crediti non reclamati.
Almeno una cosa in Tribunale a Milano non viene bloccata dal virus che invece sta bloccando le udienze ordinarie: sei arresti per una truffa in seno al Tribunale Fallimentare di Milano. Dove i giudici tra il 2012 e il 2018 sono stati vittima — scopre ora una inchiesta dei pm milanesi Donata Costa e Nicola Rossato — di un ingegnoso inganno innestato su una falla nella legge sulla sorte dei crediti non reclamati nelle procedure fallimentari da creditori irreperibili o morti: buco normativo sfruttato — secondo l’accusa — da una contestata associazione a delinquere composta da una ideatrice «pizzicata» già anche in un’inchiesta di Vicenza (Ortensia Mottin, in carcere), da un cancelliere del Tribunale Fallimentare a cavallo della sua pensione nel 2015 (Francesco Morreale, ai domiciliari), da alcuni prestanome di società e curatori fallimentari. Mentre altri curatori di notevole rango, come Giovanni La Croce, sono indagati per l’ipotesi di «interesse privato del curatore negli atti del fallimento» e «falso». Ma come di rado accade, assai più del singolo caso conta l’impatto nazionale della falla normativa individuata dal Nucleo di Polizia Economico della GdF. In caso di creditori irreperibili o morti, dopo 5 anni gli attivi depositati in posta o in banca e non riscossi vanno allo Stato nel FUG-Fondo Unico Giustizia: se però ne fa richiesta qualcuno dei creditori rimasti insoddisfatti, il giudice dispone la distribuzione delle somme non riscosse fra i soli richiedenti. La conseguenza è che l’ultimo creditore intervenuto, magari falso, si può prendere tutto l’attivo rimasto nonostante all’epoca della liquidazione parecchi creditori si fossero tempestivamente insinuati ma restando non integralmente soddisfatti. Vale dunque oro il dato sensibilissimo della presenza di attivi spettanti a creditori irreperibili, oggi in possesso dei curatori, cancellieri e giudici dei Tribunali Fallimentari.
C’è ad esempio una vecchia procedura con 2 milioni di attivo e 10 di passivo, nella quale 1 milione sia diviso tra 5 creditori soddisfatti al 20%, e 1 milione non distribuito venga depositato in cancelleria in 4 libretti intestati ai creditori irreperibili? Ecco, dopo due o tre anni qualcuno — indirizzato in realtà dalla «dritta» di un cancelliere che detiene i libretti — si materializza, e (mostrando una cessione del credito recante la firma del creditore morto autenticata da un complice funzionario di un piccolo Comune lombardo), sostiene di vantare quel credito nei confronti della procedura: i giudici fallimentari svincolano allora a suo favore il libretto del creditore morto, che secondo il riparto doveva incassare il proprio 20% (400.000). Poi, appena qualche mese prima che i restanti 1,6 milioni di euro siano acquisiti dallo Stato nel FUG, ecco che il neo creditore fa un’altra istanza e, essendo l’unico a farsi vivo, porta a casa pure altri 600 mila euro visto che ha un credito insoddisfatto di 1,6 milioni. Bella beffa per i 5 fornitori o dipendenti che avevano davvero un credito autentico (non soddisfatto per l’80%) quando tanti anni fa si erano insinuati tempestivamente nel fallimento.
Per tappare la falla, segnala dunque la Procura, il legislatore dovrebbe modificare l’art. 232 del «Codice della crisi d’impresa» e prevedere (per l’incasso delle somme dei creditori irreperibili) la notifica della richiesta a tutti i creditori che abbiano già partecipato al riparto, lasciandone poi la distribuzione dopo 60 giorni a chi si sia fatto avanti.
Proposta dei magistrati: modificare una norma del Codice della crisi d’impresa