Strade piene e shopping Milano era impreparata
Bar pieni, strade affollate, code nelle gelaterie Unica eccezione Chinatown dove continua la serrata Lo sconcerto di chi era fuori città: «Posso tornare?»
Èuna cosa molto milanese. Rispondere «bene bene» a chiunque ti chieda come stai. Solo che qualcosa (almeno a parole) è cambiato. Ora hanno tutti l’ansia del Coronavirus. «Un’ansia pazzesca». Però poi subentra un’altra cosa forse più milanese ancora. Il non poter fare a meno della propria socialità. Bastano le ultime 24 ore a confermare una tendenza. Quella di chi sfida le regole pensando di essere immune dal rischio. E che da oggi però si sveglierà in una grande «zona rossa».
Riavvolgendo il nastro a 24 ore fa. Febbre del venerdì sera, più o meno nove e mezza. Lungo i Navigli i bar sono quasi tutti pieni. E non serve il metro tascabile per certificare che nessuno rispetta le distanze di sicurezza. Anche i ciringuiti che vendono birre medie da passeggio sono affollati più o meno come sempre. All’Isola, altro quartiere da bere, frequentato soprattutto dai giovanissimi, le strade sono tutt’altro che deserte come le autorità speravano per contenere la diffusione del virus. Eppure tra un drink e l’altro, l’argomento è sempre e solo l’emergenza Coronavirus. Molti ripetono quasi come una filastrocca mandata a memoria la lezione ribadita dalle autorità. Quell’obbligo di evitare assembramenti inutili. Però poi di fatto eccoli lì, tutti insieme appassionatamente. In alcuni casi, uno sopra l’altro.
Per completare la riflessione, tocca passare dal terzo quartiere più amato dalla gente della notte a queste latitudini. Che poi sarebbe quella Chinatown che invece si è svuotata: prima per la psicosi cinese, quando a migliaia di chilometri da qui esplodeva il Coronavirus e in Italia non c’era neanche un positivo, ma i milanesi avevano deciso che per essere sereni bisognava stare alla larga dal quartiere e vivere la propria febbre di socialità altrove. I ristoranti e locali di Chinatown restano chiusi, nonostante dei quasi tremila contagiati in Lombardia solo uno sia cinese. Non è un caso, ma solo il risultato del fatto che i cinesi senza bisogno di sbandierare le proprie paure si sono chiusi in casa per due settimane, in particolare se tornavano dalla Cina. Elogio dell’auto-quarantena, l’unico stile di vita che paga in situazioni del genere.
Altro giro, stesso clima ieri.
Complice un fulminante anticipo di primavera, con 20 gradi e un sole di quelli che a Milano quando c’è si prende la macchina fotografica per immortalare il momento e tenerlo lì a compensare le ondate di grigio. Ieri, mentre le autorità sanitarie e la protezione civile (ri)lanciavano l’appello a atteggiamenti responsabili e una vita di clausura, la fotografia di Milano raccontava di una città pre spiaggiata, in un clima da vacanze di Pasqua anticipate, per chi ha deciso di rimanere in città invece di allungare il weekend al mare o raddoppiare la settimana bianca. Gli stessi che ieri leggendo della notizia del nuovo confine lombardo iniziavano a vivere un’altra forma di ansia: quella di non sapere se avrebbero potuto tornare a casa.
Le vetrine del centro, i baretti sui Navigli, il solarium alla Darsena che neanche Copacabana, lo struscio in corso Buenos Aires. Tutto come se nulla fosse. Pure le code in gelateria. Una città che non riesce a fare a meno della sua socialità anche fuori dai musei, con code chilometriche per rispettare i tempi degli ingressi contingentati (il record con il serpentone fuori dalle Gallerie d’Italia). Qualche multa a chi serve lo spritz al bancone, ma in generale il clima delle grandi occasioni. E fa effetto ripensare a una giornata così con il nuovo decreto del Governo in mano. Per ogni divieto, una risposta creativa. Con le palestre chiuse, tutti a sudare nei parchi. Ci sono quelli che si allenano per maratone primaverili che probabilmente non si faranno mai e quelli che fanno yoga di gruppo.
Un traffico umano quasi surreale, così lontano dal bollettino d’emergenza. Lo dice pure l’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera, raccontando del muro di gente che vedeva per strada mentre raggiungeva la sede della Regione di macchina. Milano non si ferma (purtroppo).
L’assessore Mentre raggiungevo la Regione ho visto un traffico umano quasi surreale, così lontano dal bollettino d’emergenza