Monumenti
Luoghi di memoria, storia e fede Le colonne votive del ‘500 e ‘600 sono dedicate a santi e ricorrenze
San Calimero ha un piccione appollaiato nella piega della tonaca. Sta lì tranquillo e controlla il traffico di corso di Porta Romana. Anche Sant’Elena ha un visitatore, ma è un colombo più delicato: invece di appoggiarsi ha scelto come approdo la croce che la santa sorregge fra le braccia. E San Pietro Martire? Nessun volatile. Il lungo coltello sulla testa del domenicano li tiene lontani. Statue importanti, appoggiate su antiche colonne, eppure poco note. Importanti non a livello artistico, soprattutto ora che si presentano smangiucchiate da tempo e smog, ma per il significato storico-religioso.
Le prime colonne votive risalgono al Cinquecento, fatte erigere da Carlo Borromeo come luoghi di aggregazione e per le preghiere serali. Quando nel 1576 la peste raggiunge Milano e la città è in quarantena, l’arcivescovo fa celebrare messa agli altari posti ai piedi delle colonne e la gente segue le liturgie da casa. Poi istituisce la Compagnia della Santa Croce e a ogni confraternita assegna una colonna. Dai documenti sappiamo che nel 1613 il numero è salito a 36 (diventeranno in seguito 49): sono agli incroci delle strade, circondate da una cancellata che protegge gli altari, e terminano con una croce. Luoghi di preghiera e croci stazionali: durante la peste manzoniana, l’arcivescovo Federico Borromeo (che ne ha fatte costruire altre venti), farà sostare la processione con il corpo di San Carlo davanti alle colonne. Le croci vengono sostituite da statue di santi. Ma hanno vita breve. Una prima parte viene distrutta nella seconda metà del Seicento, l’ordine arriva da Vienna, intralciano il passaggio delle carrozze. Un secolo dopo è l’architetto Leopoldo Pollack a eliminarne altre.
Oggi ne restano poche. «Senza targhe e dedicazioni, perse negli spostamenti, prive di barriere protettive e in condizioni non eccellenti», lamenta l’architetto Carlo Capponi, responsabile Beni Culturali Diocesi Milano, «del resto i materiali utilizzati, ceppo dell’Adda, marmo di Candoglia, arenaria, sono friabili e le statue non sono mai state oggetto di restauro». La colonna di San Calimero, con il basamento in granito, è alla Crocetta. Il nome della stazione della metropolitana deriva da lì, le colonne erano chiamate anche croci votive o crocette. È altissima quella di Sant’Elena davanti all’ex chiesa di San Paolo Converso in piazza Sant’Eufemia: la colonna corinzia è posata su un piedistallo che spinge la statua verso il cielo. In piazza Vetra c’è San Lazzaro, il viso del santo purtroppo corroso, come corrosa è Santa Maddalena, in piazza De Angeli (basamento in laterizio, rifatto). San Pietro Martire, che ha una lunga colonna dal capitello lavorato, è davanti alla chiesa di Sant’Eustorgio: il coltello del martirio (conservato a Seveso) si osserva meglio guardando di lato. La statua in bronzo di San Carlo, opera di Dionigi Bussola (1624), sostituisce la croce di San Barnaba della colonna che era in piazza Cordusio, spostata dallo stesso Pollock in piazza Borromeo. E anche l’obelisco di via Marina è parte di una colonna consacrata da Federico Borromeo, e indicata come croce di San Glicerio.
Statue fragili L’arenaria e il ceppo dell’Adda portano i segni del tempo e dell’inquinamento
Lavori in corso Quella di S. Martiniano, al Verziere, è stata rimossa per il cantiere della linea 5 del metrò