«Tutto in diretta dall’ambulanza»
I sanitari della Croce rossa: una pena dire ai parenti che devono lasciare soli i malati. Il soccorso da Covid impone procedure più lunghe, protezioni e costi alti
Imalati vanno via da soli. «Ai famigliari diciamo: “Voi state a casa”». In viaggio con la Croce rossa.
«Lascerà segni profondi, quest’epoca. Perché oggi portiamo via un malato, e ai parenti siamo costretti a dire: “Non lo potete accompagnarlo in ospedale”. Per noi soccorrere è la quotidianità, anche nelle situazioni più devastanti. Oggi è peggio. Ai figli, alle mogli, ai fratelli, siamo costretti a dire: “State a casa”. I malati vanno via da soli». La Croce rossa nasce anche per il ricongiungimento delle persone; sta nella sua storia; è accaduto durante le guerre, è stato così per decenni: ri-avvicinare le famiglie separate dalle catastrofi. Oggi, Milano 2020, gli interventi di soccorso per Covid-19 vanno nel senso opposto: «I parenti di un malato — racconta Paolo Bosso, vice direttore operazioni del comitato Cri di Milano — devono rimanere “confinati”. Chi ha un proprio caro malato non può andarsi ad affacciare al vetro della rianimazione per vederlo. La comunicazione con le famiglie diventa un peso ancor più incombente. L’impatto psicologico di questo momento storico lascerà segni enormi dentro ognuno di noi. La Croce rossa è strutturata per intervenire in qualsiasi calamità, adesso c’è qualcosa di ancora più drammatico, che va oltre».
Andare oltre vuole dire reggere. Resistere. Sobbarcarsi il peso di un soccorso che mai è stato tanto «feroce» dal punto di vista umano. Sugli aspetti organizzativi la Croce rossa di Milano ha risposto in poco tempo, quasi nell’immediato. È importante conoscere anche quelli, perché sono la risposta razionale e umana alle necessità. La Cri in città ha creato due sistemi di «attivazione»: uno che si può definire «ordinario», e cioè analogo al passato (sono gli interventi per infarti, ictus, incidenti stradali); l’altro dedicato esclusivamente al coronavirus. Che impone le sue regole. E soprattutto: un livello di protezione per i soccorritori del tutto inedito, non per metodo (che rimane lo stesso in caso di malattie infettive gravi), ma per frequenza quotidiana.
Il tempo è più lungo, i costi sono più alti. Può valere un esempio, e non si sa se sia da addebitare a logiche di mercato o a speculazione: una mascherina fino a poco tempo fa costava 3 centesimi, oggi costa 1 euro e 10 (inoltre, i materiali di protezione in questo momento sono sempre più complicati da reperire). Il soccorritore che interviene per un caso di (sospetto) Covid-19 indossa due paia di guanti, un camice protettivo, calzari, cuffia, occhiali e mascherina. Le procedure di sicurezza prevedono che al momento della «svestizione» si tolga il secondo paio di guanti e si cominci a svestirsi; un’operazione per la quale (tra vestirsi e spogliarsi) alla fine verranno consumate cinque paia di guanti. Per «sanificare» il mezzo verrà poi indossato un nuovo kit di sicurezza. E alla fine del turno la Croce rossa ha un macchinario all’ozono che viene messo all’interno dell’ambulanza e propaga una bonifica complessiva e totale del mezzo. «Dobbiamo offrire le più complete garanzie — spiega Bosso — sia a tutti i soccorritori, sia alle persone che trasportiamo. E tutto questo considerando che le altre attività della Cri non si sono fermate, dall’assistenza ai senza fissa dimora, alla distribuzione del cibo; attività nelle quali sono impegnati i volontari e il personale militare, come le crocerossine. Ci chiedono: “Non avete paura”. Certo che ce l’abbiamo, abbiamo anzi paura più degli altri perché vediamo cosa sta provocando il Covid-19. Ma andiamo avanti. Quello che ci lega è un patto di sangue senza il sangue».