Il capannone trasformato in «fabbrica» di mascherine
L’idea è venuta a Luca Villa. Una telefonata a Silvia della Croce Rossa a Milano, che da lunedì a venerdì vive e lavora a Quarto Daltino (Venezia) per un’azienda che produce articoli per la ristorazione: «Vedi se riesci a farti dare del tessuto per fare le mascherine». Detto, fatto. Silvia è tornata con due rotoli da mille metri ciascuno di «spunlace», materiale donato dalla ditta veneta utilizzato per realizzare tovaglie, panni, e anche maschere protettive monouso comunemente utilizzate in ambito medico. Articoli, questi ultimi, preziosi come non mai in questo periodo. L’obiettivo stimato è ricavarne tra i sei e gli ottomila pezzi. Quindi tutti all’opera nel laboratorio di grafica pubblicitaria di Villa in un capannone di Lissone, nel monzese, trasformato in una specie di sartoria che da ieri mattina lavora a ciclo continuo. Una ventina i volontari di Protezione civile e Croce rossa impegnati nelle due sale della ditta. Tra loro anche Silvia, che ha portato i rulli di materia prima: «I miei principali non hanno avuto alcuna esitazione, forse me ne avrebbero dato anche di più, ma in macchina mi stavano solo questi due. Anche in Veneto la situazione è grave per il coronavirus, ma la solidarietà va oltre i confini». Una catena di montaggio: ne realizzano circa 300 all’ora. Si stendono le strisce di tessuto e si tagliano singoli pezzi da trenta centimetri per venti. Ognuno di questi viene piegato «a fisarmonica», dopodiché, alle due estremità, vengono pinzati gli elastici (anche quelli regalati dopo un appello lanciato via Facebook). Le mascherine vengono poi chiuse in scatole da 50 pezzi. Andranno alla Croce Rossa di Desio e Villasanta, alla Croce bianca di Mariano Comense, a una casa di riposo di Vedano. Telefonano sindaci e associazioni: la domanda è altissima.