Medici, il giorno dell’applauso
Il gesto corale dei milanesi. Fontana sceglie Bertolaso: scontro con la Protezione civile. Impennata di contagi
Le mani che applaudono dai balconi. Il tributo della città a medici e infermieri, la prima linea della guerra al coronavirus. La Milano costretta a restare chiusa in casa ritrova il suo «cuore» nella solidarietà. Grazie alle donazioni sarà possibile creare nuovi letti di rianimazione. «Reparti in emergenza».
Milano sbuca fuori dalle case affacciata alle finestre. È mezzogiorno in punto. Dopo il flash mob musicale di venerdì, ieri c’è stato il momento dell’applauso: ha rimbombato forte, partecipato e lunghissimo, con le strade deserte, da un quartiere all’altro della città. Rivolto a medici, infermieri e ricercatori che combattono per noi la guerra più dura, quella in corsia, lavorando a loro rischio per curare gli ammalati e arginare il contagio che rende triste — ma non rassegnata — la città.
Il rito collettivo e antico della musica e del canto esorcizza almeno un po’ la quarantena di una Milano che era abituata a non fermarsi mai, per niente allenata a esercitare l’arte della disciplina e della pazienza. I milanesi amano «fare». Di necessità virtù, reagiscono con ironica fantasia e il massimo del controllo possibile. Producono striscioni colorati self made con gli hashtag #andratuttobene e #celafaremo, aggiungono il tricolore, si fanno trovare pronti.
Alle 12 spaccate partono le campane delle chiese e per una volta si sentono bene, senza clacson, senza assembramenti, con i parchi chiusi come i negozi e tutti gli esercizi pubblici. Ma si spalancano i vetri ed ecco la gente — dai palazzoni popolari a venti piani alle case di ringhiera agli attici in centro — a scorticarsi le mani dal tanto applaudire. Alcuni sbattono coperchi di pentola, altri si salutano da una parte all’altra della via, urlandosi «Grazie!». Tra i condomini più «riconoscenti» quello di corso XXII Marzo 32, una torre di quattordici piani dove tutti, nessuno escluso, dagli 0 anni di Matilde agli 84 Pino, hanno partecipato, con ironia e il massimo del controllo possibile. Nel condominio di via Farini 79/81 mentre la gente applaudiva si levava alto l’inno di Mameli che qualcuno aveva messo al massimo volume e con amplificatori sul terrazzo, e ancora in tutta la via Borsieri e in varie zone dell’Isola dopo l’applauso è stato lanciato l’aperitivo a distanza, «guardandosi in faccia» tra vicinilontani di casa. Un modo per farsi forza cui partecipano anche i più razionali e recalcitranti, tra preoccupazione e senso civico, tutti insieme, in alto i calici, come fossero scudi di una guerra che tutti siamo chiamati a fronteggiare.
Ancora rumorosissimi applausi in via Stilicone 21, in via Sismondi 14 e presso il Monte Amiata, al Gallaratese. In meno di un minuto metà delle finestre di via degli Imbriani, nel cuore del quartiere Bovisa che fu anche di Ermanno Olmi, si spalancano sulla via deserta e l’applauso viene accompagnato da chitarre e una tromba. Un live sgangherato e commovente, nato come omaggio e incoraggiamento ai medici e esteso ai sessanta milioni di italiani che collaborano nelle retrovie con comportamenti diventati — a suon di ordinanze — finalmente responsabili e seri. Le immagini fanno il giro del web e del mondo, danno l’idea di una Milano (di più, di un’Italia) unita e di un Paese tutt’altro che rinunciatario. «Mi unisco agli applausi che da Milano, dalla Lombardia, da tutta Italia, sono partiti per ringraziare medici, infermieri e tutti coloro che si stanno battendo come leoni per vincere la guerra contro il virus. Sono i nostri eroi», scrive sui social, vagamente epico, anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana.
Alle 18 c’è stato ancora un coro collettivo, tanti alla finestra a cantare Azzurro con i tricolori che sventolavano, e oggi pomeriggio si ripete ancora, al richiamo di «Affacciati alla finestra Milano mia», con la canzone «Il cielo è sempre più blu».
È un’emergenza sanitaria triste, ma pare quasi lo spirito di un Mondiale di calcio in cui uno strano patriottismo inizia ad emergere, nel momento della difficoltà. Abituati come siamo all’individualismo, dicono i sociologi, questo momento triste potrebbe insegnarci una maggiore attenzione verso l’altro. Potremmo risvegliarci sentendoci di nuovo e davvero parte di una comunità.