IN RETROVIA TUTTI ALLINEATI
Igiornalisti sanno che per raccontare la realtà non è elegante, né corretto, né educativo ricorrere alle metafore belliche. Ma questa volta, di fronte allo scenario mai visto nel quale siamo stati catapultati tutti quanti, l’immagine di una guerra è drammaticamente calzante. Ce lo confermano gli anziani, quelli che l’hanno vissuta davvero e che — poiché il destino sa essere canaglia — anche adesso rischiano più di tutti. Purtroppo, con le dovute differenze e soprattutto con il dovuto rispetto per chi ancora oggi deve affrontare bombe, fame e rastrellamenti, il parallelismo regge. La Storia racconta di raccolti bruciati e fabbriche in sciopero per tagliare le risorse al nemico e di città simboliche e strategiche per fermarne l’avanzata. E anche oggi, di fronte a un nemico invisibile e subdolo, svuotare fabbriche e uffici ha — in fin dei conti — quello stesso obiettivo: rallentarlo, sottrargli quel terreno di conquista che sono diventati i nostri corpi, la nostra integrità fisica. Questa è la battaglia in corso. Con una prima linea del fronte, dove si stanno battendo strenuamente medici e infermieri, e una vasta retrovia chiamata a resistere e collaborare. Vale per tutti, ovunque, ma è evidente che in questo scenario Milano è fondamentale.
I numeri dicono che, in rapporto alla concentrazione della popolazione, finora la città non può essere considerata come flagellata dal virus. Ma questo non è un risultato acquisito e blindato. Dove è maggiore la densità umana, è potenzialmente più alto il rischio di una diffusione dei contagi. E nel contesto di emergenza sanitaria in cui si trovano la regione e l’intero Paese, diventa quindi fondamentale evitare che ciò avvenga in un’area abitata da quasi un milione e mezzo di persone. Insomma, in questo scacchiere, la battaglia silenziosa e invisibile di Milano è davvero strategica. Una sorta di Stalingrado della guerra al virus. E quindi, al di là delle metafore belliche e di ogni audace parallelismo con la storia, tocca davvero a tutti noi, che da giorni abbiamo recluso le nostre vite. Esistono delle regole, dettate in fretta e furia dal governo, esistono limitazioni scritte che lasciano margini di iniziativa. Ma il discrimine non è agire in base a ciò che è vietato e ciò che non lo è: il confine è il buon senso, la consapevolezza di ciascuno di noi, che ci mandiamo dai balconi canzoni, saluti, sorrisi e promesse di abbracci. Possiamo anche uscire, fare la spesa, spostarci per qualche esigenza, prendere la classica «boccata d’aria».
Ma non dobbiamo fermarci a fare capannelli con i carrelli o lungo i marciapiedi per commentare le saracinesche abbassate, e men che meno andare a fare ginnastica al parco a coppie o a gruppi, riproducendo il clima della palestra chiusa, sederci su una panchina a conversare. Anche se non c’è un vigile a vietarcelo. I milanesi hanno una tradizione civica importante, da sempre riferimento: oggi è più che importante che ci si comporti tutti quanti all’altezza della nostra storia. Milano non può rischiare di perdere la sua battaglia contro il virus per una chiacchiera e quattro flessioni al parco. Bisogna resistere e dovremo farlo ancora a lungo. E quando tutto questo sarà finito — e lo ricorderemo per generazioni — potremo (dovremmo) scambiarci finalmente e davvero quegli abbracci promessi dai balconi.