Nella fabbrica dei respiratori
A Corsico la sede italiana del gruppo tedesco Dräger «Richieste da tutto il mondo, peggio del Dopoguerra Magazzini vuoti: lavoriamo per produrre 24 ore su 24»
La Dräger produce macchine per le terapie intensive: «Cerchiamo di dare priorità ai lombardi».
Se il coronavirus ucciderà un numero più o meno alto di persone, e se i medici lombardi riusciranno a salvare decine o centinaia di malati in più, dipenderà anche dalle decisioni che vengono prese in queste ore un palazzo tutto a vetrate, basso e largo, immerso nel verde alla periferia di Lubecca, Nord della Germania, a poco più di una dozzina di chilometri dal Mar Baltico. In quel palazzo è riunito senza sosta il board della «Dräger», il colosso mondiale che produce strumentazione medica per le terapie intensive. E se i macchinari di cui la Lombardia ha un disperato bisogno per rinforzare il proprio sistema e per costruire l’ospedale in Fiera arriveranno, dipende anche dalle valutazioni che i manager dell’azienda (13 mila dipendenti, 131 anni di storia, rete commerciale ramificata in 190 Paesi) stanno facendo in queste ore ai tavoli con l’ultimo discendente della dinastia industriale, Stefan Dräger. È solo grazie a una fonte diplomatica che nel tardo pomeriggio di ieri il Corriere riesce ad aprire un canale di comunicazione con Lubecca. E questa è la risposta: «Stiamo lavorando 24 ore su 24. Mai nella nostra storia, probabilmente neanche dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo ricevuto un sovraccarico di ordini come in questo momento. Ci stanno chiedendo i macchinari da ogni parte d’Europa e del mondo. Tutti hanno necessità, tutti hanno fretta, tutti sono preoccupati. Ma pur se ci troviamo in questa situazione, una cosa possiamo dirla: nella pur spropositata massa delle richieste, l’Italia è stata inserita in “priorità 1”, e in questa fascia la Lombardia è catalogata ancora come “priorità 1”».
Vuol dire che i macchinari arriveranno. Quanti? Quando? A queste domande non è stato possibile, al momento, ottenere risposta. «La produzione avviene in Germania, le richieste attuali sono sproporzionate e, diciamo così, a produrre un ventilatore non si impiega un giorno». Anche se alcuni macchinari per le terapie sub-intensive e intensive sono già arrivati, transitando dalla sede italiana della «Dräger», a Corsico. E questa è l’altra informazione che filtra da Lubecca: «I magazzini di stoccaggio in Italia sono vuoti, deserti. Non perché stiamo perdendo tempo: in questo momento, appena escono dalla produzione, le macchine vengono direttamente e immediatamente consegnate al cliente, e ciò sta avvenendo a ritmi e in proporzioni inconsuete per la nostra storia».
È una storia che risale all’indotto dustrializzazione di fine Ottocento, agli incidenti nelle miniere che nel Nord Europa provocavano migliaia di morti, ma fu a Londra che il fondatore Johann Heinrich Dräger, spiega il sito aziendale, «assistette al salvataggio di un giovane dal Tamigi e alla sua successiva rianimazione. Tale evento lo ha ispirato a sviluppare un’idea rivoluzionaria: la respirazione artificiale meccanica sul posto per rianimare le persone che hanno perso conoscenza a causa della carenza di ossigeno». Nel 1907 Dräger ottenne il brevetto per il «Pulmotor», «il primo respiratore d’emergenza pro
in serie al mondo». Da quel momento, con l’evoluzione nei decenni, nascono i ventilatori per l’assistenza della respirazione, che poi si arricchiscono della possibilità di gestione manuale da parte del medico, fino all’attuale gestione automatica elettronica col monitoraggio delle condizioni del paziente. Ecco perché anche oggi gli anestesisti e i rianimatori degli ospedali milanesi, in buona parte dei casi, utilizzano macchine «Dräger»; ed ecco perché la Lombardia e la protezione civile stanno cercando di acquistarne il più possibile e nel minor tempo possibile. Le strumentazioni per le terapie intensive sono molto sofisticate e possono costare da 10 a 30 mila euro. «È una condizione non agevole — concludono dall’azienda — ma stiamo cercando di forzare i ritmi di produzione e commercializzazione al massimo limite».