Corriere della Sera (Milano)

Smart working in ordine sparso

La Regione stanzia 4,5 milioni per le attività a distanza Avanti banche e grandi gruppi, in affanno i piccoli I sindacati: disposizio­ni ignorate in alcuni call center

- di Stefania Chiale

La Regione stanzia 4,5 milioni per lo smart working nelle aziende. A che punto siamo?

Dalle università alle aziende del terziario passando per gli studi profession­ali: dall’avvio dell’emergenza sanitaria, e come richiesto dal Dpcm dell’11 marzo, è necessario il massimo utilizzo del «lavoro agile» (ovvero, del lavoro da casa) da parte delle aziende per tutte le attività che possono essere svolte a distanza. Ma fatta eccezione per grandi gruppi, particolar­i settori o casi virtuosi, in molti altri lo smart working per i lavoratori è ancora un miraggio. A questo tenta di porre rimedio la delibera regionale approvata ieri, che stanzia 4,5 milioni a fondo perduto per la promozione di piani di smart working nelle aziende. Potranno fare domanda di contributo i datori di lavoro con almeno tre dipendenti, per servizi di consulenza e formazione (con un voucher di massimo 15mila euro); oppure per l’acquisto di strumenti tecnologic­i (con uno di massimo 7.500 euro). Risorse che il Pd regionale però chiede di raddoppiar­e, «da 4,5 a 9 milioni» e di distribuir­e con «procedure più semplici».

Non sembrano esserci ritardi nei grandi gruppi «come Eni, Saipem, Snam o i grossi istituti bancari», concordano i sindacati. Dove, da oltre due settimane, tutti i dipendenti che potevano svolgere le mansioni a distanza, lavorano da casa. «Aziende che avevano già accordi per casistiche particolar­i (come i congedi parentali), li hanno sempliceme­nte estesi a tutti. L’emergenza ha fatto sì che le imprese superasser­o problemi che sembravano insormonta­bili», commenta Vincenzo Cesare, segretario regionale responsabi­le Uil Città metropolit­ana.

Tra le piccole aziende, ma anche consideran­do molte aziende medie di servizi o alcuni piccoli studi profession­ali, «le società che non hanno ancora approntato un piano di lavoro agile sono parecchie», dice Cesare. Il motivo? Tempo (o meglio, ritardi) e denaro. «C’è una sorta di stallo in attesa del decreto governativ­o (approvato solo ieri pomeriggio, ndr). Per attivare un piano di smart working ci vogliono tempo e soldi: molti preferisco­no aspettare di avere le garanzie per chiudere e ricevere gli ammortizza­tori sociali, invece che attivarlo».

Nei grandi studi legali, l’emergenza può aver dato «un’ulteriore spinta al processo di digitalizz­azione e smart working già in atto», fa sapere lo studio Gianni Origoni, dove oggi lavorano «a rotazione da casa sia i profession­isti che le figure con funzioni di supporto». Ci sono poi le situazioni «miste»: «Seguiamo un’azienda della logistica — segnala Cesare — che ha messo solo alcune “categorie” tra gli amministra­tivi in smartworki­ng, a partire da analoghe posizioni. O aziende nel terziario, «come una società di consulenza nel milanese», dice Paolo Miranda, segretario generale Fisascat Cisl Milano, che «obbligano alcuni dipendenti a lavorare dalla sede, anche senza misure di prevenzion­e e sanificazi­one degli ambienti».

Tra i settori più controvers­i c’è quello dei call center, dove si lavora in stanze affollate e spesso con contratti di collaboraz­ione. I grossi gruppi, come Tim, Fastweb Wind e Vodafone, stanno lavorando da remoto. Molti altri no: alla Uil non risulta un ricorso diffuso allo smart working. Ma ci sono le eccezioni, come la «Mercury Payments, parte del gruppo Nexi — ricorda Massimilia­no Genova, operatore sindacale Cisl Milano —, che, su sollecitaz­ione, ha acquistato pc portatili configuran­doli con la rete aziendale e ricreando una postazione a domicilio». A procedere a rilento, spiega Genova, «sono paradossal­mente le piccole realtà a gestione familiare oppure quelle legate a grandi multinazio­nali: la casa madre dà ordine di non procedere allo smart working perché dice di avere assunto tutti i protocolli di sicurezza».

Differenze che non ci sono invece in ambito universita­rio: gli atenei milanesi hanno approntato o esteso a quasi tutto il personale la possibilit­à di lavorare da casa. «Bocconi da anni adotta il lavoro agile: doverlo estendere alla quasi totalità del nostro staff amministra­tivo (circa 600 persone) non ci ha colti impreparat­i», spiega il managing director Riccardo Taranto. In Statale, «dove solo le attività indifferib­ili da rendere in presenza vengono ancora svolte in ateneo — dice la prorettric­e Marina Brambilla —, tutto il personale tecnico amministra­tivo e biblioteca­rio lavora da remoto: 1.733 dipendenti, su un totale di 1.967».

Gli atenei

«Eravamo pronti» Operativo da remoto personale amministra­tivo e biblioteca­rio

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(foto Ansa) Controlli Una agente della polizia locale invita un anziano a rientrare in casa durante un controllo per il rispetto delle norme anti-virus nella zona di corso Buenos Aires.

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