«Va ripensato il servizio sanitario E si investa di più nella ricerca»
Garattini: la ripresa sia graduale
I colleghi sono quasi tutti a casa, a lavorare in smart working. «Io sono ancora qui che avevo delle cose urgenti da sbrigare», dice Silvio Garattini, anni 91, bergamasco, fondatore e pilastro dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, a Milano. Come entra in quella che per molti è la settimana decisiva per la curva dei contagi?
«Dubbioso: perché conosciamo troppo poco di questo virus. E questo non consente di fare previsioni, né in un senso né nell’altro».
Non sembra tra quelli che vede vicina l’inversione di tendenza...
«In Lombardia è possibile.
Difficile fare i conti col resto del Paese. La situazione italiana è molto eterogenea. A questo punto diventa davvero importante la responsabilità della gente. In Lombardia si convive da diversi giorni con numeri che mettono paura. Altrove vedo troppa gente distratta che non si sente parte in causa».
Da bergamasco che idea si è fatto dell’emergenza di quella zona?
«Il rimpianto è quello di non aver isolato prima questa provincia, come da subito chiedevano i sindaci. Ma l’attenzione era tutta su quello che succedeva nel Lodigiano».
Cosa ha pensato la mattina del 21 febbraio quando uscì la notizia del primo caso a Codogno? «Onestamente non immaginavo che il contagio partisse in maniera così veloce».
È preoccupato dei contagi sommersi a Milano città?
«Penso che sia essenziale che ogni persona che evidenzia i sintomi potenzialmente del coronavirus stia a casa per 14 giorni anche se non gli viene fatto il tampone».
Se nelle prossime settimane la curva dei contagi dovesse iniziare a calare, come gestirebbe la ripartenza? «Nel modo più graduale possibile. Ricominciando dal settore produttivo, che può stare fermo un mese, ma di più è difficile. Anche sulla scuola penserei a un approccio progressivo. Partendo dai bambini più piccoli che sembrano meno sensibili al virus. Università e licei stanno dimostrando di riuscire ad andare avanti a distanza».
Che lezione ci lascia questa epidemia?
«Che bisogna ripensare seriamente
al futuro del servizio sanitario nazionale, che sembra rimasto indietro di 40 anni».
All’estero ci vedono come un modello...
«Dobbiamo misurarci con la globalizzazione. Pensare che come circolano le persone e le merci, lo fanno anche i virus. Non dobbiamo dimenticare che l’anno scorso in Italia ci sono stati 10 mila morti per infezioni non sensibili agli antibiotici. Un terzo d’Europa: perché li abbiamo usati in modo sconsiderato. E poi accettare che siamo un paese anziano. Quindi ripensare il sistema in termini di prevenzione e di stili di vita».
La gente applaude i suoi medici dalle finestre...
«Riscoprire i medici solo nell’emergenza è troppo facile. Ricordiamoci invece che siamo il Paese che spende meno in Europa per la ricerca. Non voglio pensare che quando tutto sarà finito si penserà subito ad un’altra cosa».
Protagonisti Riscoprire i medici solo nelle emergenze è troppo facile Non voglio credere che quando sarà tutto finito si penserà subito ad altro
L’abuso dei farmaci Nel 2019 le infezioni diventate insensibili agli antibiotici hanno fatto 10 mila vittime