Case divise, incroci solo sul pianerottolo La coppia di medici riscrive le giornate
Voci e vite di chi ogni giorno si batte contro il virus Dottori che per tutelare famiglia e pazienti si ingegnano e le (ex) studentesse in prima linea dopo la tesi online
Da una settimana vivono separati, lei con i figli Beatrice e Francesco, quattro e sei anni, si è trasferita dalla mamma e per adesso la famiglia si riunisce soltanto via Skype. Una cena calda lasciata davanti alla porta di casa, un incrocio sul pianerottolo a tre metri di distanza per scambiare poche parole sono gli unici contatti, da giorni. Vite da coppie di medici nell’emergenza Coronavirus. Alessia Dolci, endocrinologa al Policlinico e Marco Botticelli, anestesista e rianimatore all’Istituto Clinico Città Studi, 38 anni entrambi, raccontano che hanno fatto la scelta di tanti colleghi: «Marco è in una Terapia intensiva dove ormai sono tutti ricoverati Covid. Quindi abbiamo deciso di dividerci per proteggere tutti, anche i miei pazienti», spiega lei. «La linea che ci siamo dati è quella che da medici stiamo chiedendo da giorni: fare tutto quello che si può fare per evitare il contagio». Vite cambiate, in ospedale e a casa. Per Alessia Dolci il lavoro negli ambulatori di via Francesco Sforza adesso è diverso. «Dobbiamo tenere i pazienti a casa. Li valutiamo a distanza, li contattiamo al telefono e ci facciamo inviare esami, spieghiamo che i casi urgenti vengono chiamati, tutti gli altri non devono presentarsi in ospedale».
E dice lei anche dell’impegno di Marco,
«che adesso è in reparto, come tutti i rianimatori dei nostri ospedali, con turni anche di 14 ore»:
«Nelle Terapie intensive sono stremati — spiega — . È faticoso anche fisicamente, per le protezioni, tute, mascherine, guanti, da cambiare decine di volte al giorno. Ed è dura, anche se come
Marco fai questo lavoro ormai da dieci anni, nessuno vorrebbe mai
intubare ragazzi di trent’anni. E sta succedendo questo». Chi come loro parla dagli ospedali è netto. «Facciamo fatica a capire quello che ancora stiamo vedendo, a partire da chi per passare una quarantena più vivibile è andato nelle seconde case al mare o in montagna, portando il virus in paesini dove non ci sono ospedali, un comportamento criminale». Restare a casa è ancora il messaggio unico. «Grazie per quell’applauso ai medici negli ospedali, ma non è finita, chiediamo ancora di restare in casa», ripete Alessia. «Tutti vediamo i numeri dell’epidemia e sappiamo che anche le prossime giornate saranno decisive per ridurre i contagi. Bisogna evitare i contatti e uscire soltanto se è indispensabile. Anche se è difficile, per chi è solo e per chi ha famiglia». Medici in prima linea e genitori. «Un equilibrio si trova. I bambini per ora apprezzano il tempo allungato in famiglia, Beatrice e Francesco sono felici della vita in trasferta a casa dell’adorata nonna Angela», racconta ancora. Nel giorno dell’applauso a medici e infermieri i bambini sono usciti sul balcone con i loro disegni colorati di dottori con mascherina e le scritte «Forza papà», «Forza zii». «Abbiamo anche fratelli e cognati medici nei reparti Covid di altri ospedali milanesi — spiega Alessia —. E anche da parte loro, lo stesso appello:
restate a casa».
La scelta Abbiamo deciso di fare ciò che chiediamo dall’inizio a tutti: evitare occasioni di contagio