«Al Don Gnocchi ci dissero: non usate le mascherine»
Decine di tamponi positivi (incluso quello al direttore) Il personale sanitario: «Epidemia affrontata in ritardo» Pat, allarme Cisl: riutilizziamo i dispositivi di sicurezza
Il 24 febbraio, pochi giorni dopo l’inizio dell’epidemia, la direzione dell’«Istituto Palazzolo-Don Gnocchi», un pezzo di storia della sanità e dell’assistenza a Milano, convoca una riunione plenaria per i lavoratori. Trecento medici, infermieri e operatori ammassati in una sala, alcuni restano fuori perché vogliono capire. Si aspettano tutti un unico messaggio: al «Don Gnocchi» sono ospitati oltre 700 pazienti, quasi tutti anziani, malati e fragili, e dunque i lavoratori immaginano che la struttura verrà «blindata» per evitare che il coronavirus entri nei reparti, perché tutti si rendono conto che se questo accadesse sarebbe una strage (quella che è avvenuta e il Corriere ha già raccontato per le case di riposo a Mediglia, Affori, o la «Virgilio Ferrari» comunale al Corvetto). E invece accade il contrario: la direzione vieta a tutto il personale di indossare le mascherine, «per non creare panico e pressione su pazienti e parenti», con velate minacce di richiamo disciplinare per chi userà protezioni. «Sembra incredibile — raccontano oggi molti infermieri, e i loro messaggi sono convergenti — ma ci hanno espressamente “vietato” di proteggere i nostri pazienti, e anche noi». Le conseguenze di quella politica si iniziano a vedere in questi giorni: almeno una decina di pazienti Covid-positivi «certificati» da tampone, molti altri con sintomi evidenti del coronavirus, «ogni giorno ne vengono fuori altri» (dicono le testimonianze), e questo accade anche tra medici, infermieri, operatori, perfino il direttore oggi è «positivo». Il primo paziente positivo è stato scoperto l’11 marzo, ad oggi si cerca di creare delle aree isolate in ogni piano per gli anziani infettati. Nel frattempo però è stata necessaria anche un’altra riorganizzazione: a piano terra è stato allestito un reparto per accogliere i malati dimessi dagli ospedali, circa 35 posti. «Ci è stato detto che si trattava di pazienti guariti, in convalescenza — racconta un medico — mentre in realtà sono persone ancora malate. I posti rimanenti in quel reparto adesso li usiamo per gli “interni”, nostri ospiti e operatori».
Il contagio è entrato al «Don Gnocchi». Si diffonde. Nessuno può prevedere i danni che provocherà. «Stiamo facendo doppi turni come norma e vogliamo continuare ad assistere i nostri anziani senza infettarli», dicono gli infermieri. Le prime mascherine sono state distribuite il 16 marzo ed è comparso un volantino che raccomanda al personale di chiuderle in un sacchetto di plastica a fine turno per continuare ad usarle. Messaggio («conservate le mascherine») diffuso anche al Pio Albergo Trivulzio, e sul quale la Cisl ha mandato lettere allarmate, ricordando che «tali indicazioni aziendali generano una responsabilità oggettiva», e che la mancanza di protezioni infrange i decreti per contenere l’epidemia e va contro il diritto alla salute, in particolare dei malati anziani.