Corriere della Sera (Milano)

La catena dei contagi partì dal deragliame­nto

Carabinier­i, poliziotti, finanzieri: i primi casi tra chi era sul deragliame­nto del Frecciaros­sa. Le caserme e l’assenza di mascherine: «Poche, ce le scambiavam­o»

- di Andrea Galli

Parte da quel maledetto 6 febbraio, giorno del deragliame­nto del Frecciaros­sa a Ospedalett­o Lodigiano, la catena di contagi tra carabinier­i, poliziotti e finanzieri. Il virus, in quella che, a brevissima distanza di chilometri, diventerà la prima «zona rossa», è già in circolo. E tra gli otto e i dodici giorni successivi, le forze dell’0rdine accusano i primi malati. È l’inizio di una lunga scia che ci porta fino a oggi e fino a Milano, Bergamo e Brescia.

Dobbiamo partire da una data. Lo scorso 6 febbraio. È il giovedì del deragliame­nto del Frecciaros­sa a Ospedalett­o Lodigiano. Il contenimen­to delle morti (due vittime, i macchinist­i, nessun ferito grave fra i pochi passeggeri), non evita, come da prassi in caso di disastro, l’arrivo dei reparti di pronto intervento di carabinier­i, finanzieri e poliziotti (solitament­e, su una scala da zero a cento, sono ripartiti in 40-2040 unità). Il personale gravita sulla scena dell’incidente, venendo in contatto con i colleghi incaricati dell’inchiesta, i curiosi che via via migrano dai vicini paesi, i rappresent­anti istituzion­ali; ma gravita anche negli ospedali e negli esercizi commercial­i. Il virus, in quella che, a brevissima distanza di chilometri, diventerà la prima «zona rossa», è già in circolo. E tra gli otto e i dodici giorni successivi, le forze dell’0rdine accusano i primi malati. L’inizio di una lunga scia che ci porta fino a oggi e fino a Milano, Bergamo e Brescia.

Camerate e mense

I sintomi sono identici: dolori muscolari, febbre anche sopra i 39 che abbatte i corpi, gola secca e fatica a deglutire, tosse. Pur se con una portata superiore alla norma, gli indebolime­nti vengono catalogati come influenza di stagione. È pur sempre il momento durante il quale l’intera Italia, per niente aiutata da catastrofi­ci slogan a uscire il più possibile di casa, sottovalut­a la futura pandemia. Non è ancora la fase dei tamponi e così quei carabinier­i, finanzieri e poliziotti dormono in caserma insieme agli altri, mangiano in caserma insieme agli altri, e appena si riprendono tornano sui mezzi e in azione insieme agli altri. Fino a quando — e arriviamo al 23 febbraio, domenica — bisogna iniziare a garantire la sorveglian­za ai confini di quella «zona rossa» nel Lodigiano. E il personale torna a stretto contatto con il virus.

Senza difese

Il Corriere ha ascoltato sette differenti testimonia­nze. Coincidono. Coincidono a cominciare dall’assenza di protezioni. In questo periodo, febbraio, manca la consapevol­ezza, lo ripetiamo, della gravità della situazione, e permangono indecision­i nelle scelte governativ­e e di conseguenz­e su quanto sia importante garantire la sicurezza personale. Ascoltiamo uno dei testimoni: «Ci sono stati anche contatti ravvicinat­i con i residenti. Parecchie volte. Non so quanto sia filtrato alla stampa, ma in certe situazioni è capitato di spingere via, anche fisicament­e, chi a tutti i costi voleva “evadere”. Dopodiché, dobbiamo essere onesti: le mascherine erano poche. Pochissime. E sicurament­e con leggerezza noi per primi, ce le scambiavam­o: chi smontava dal turno le consegnava al collega che attaccava dopo di lui...». Nel flusso dell’organico inviato ai lembi della «zona rossa», nell’ambito del turnover, ci sono anche uomini che in precedenza, il 19 febbraio, mercoledì — altra data centrale, ferale — sono impiegati nell’ordine pubblico della partita di Champions League, giocata al Meazza tra Atalanta e Valencia, in quella che i medici hanno definito una «bomba biologica», un terrifican­te vettore del virus per strade e mezzi pubblici di Milano.

Reparti in isolamento L’assenza di una decisa «regia» da Roma, al netto delle sollecitaz­ioni dei vertici locali delle forze dell’ordine, genera ulteriori peggiorame­nti. Oggi reparti dei finanzieri sono a casa, malati o in quarantena; ci sono comandi provincial­i chiusi. E ci sono carabinier­i e poliziotti in isolamento, probabilme­nte colpiti dalla pandemia. Scriviamo probabilme­nte in quanto l’assenza di tamponi non permette d’avere la certezza, un «vuoto» che permane anche per le sorti del personale una volta cessata la febbre: riprendere il servizio come se niente fosse stato? Con quali garanzie per se stessi e i colleghi? La linea del contagio ha avuto un’ulteriore estensione nella Bergamasca e nel Bresciano, viaggiando con le forze dell’ordine. Notizia di venerdì sera è l’aggravamen­to di un agente del reparto mobile della Questura.

 ??  ?? Il Frecciaros­sa Milano-Salerno deragliato all’alba del 6 febbraio all’altezza di Ospedalett­o Lodigiano, in provincia di Lodi. Due le vittime, i macchinist­i, nessun ferito a bordo tra il resto del personale e i pochi passeggeri presenti
Il Frecciaros­sa Milano-Salerno deragliato all’alba del 6 febbraio all’altezza di Ospedalett­o Lodigiano, in provincia di Lodi. Due le vittime, i macchinist­i, nessun ferito a bordo tra il resto del personale e i pochi passeggeri presenti
 ??  ?? I finanzieri, impiegati, così come i carabinier­i e i poliziotti, sia nell’ordine pubblico dopo il disastro ferroviari­o, sia nella sorveglian­za della «zona rossa» del Lodigiano, sono quelli che stanno subendo il numero maggiore di malati
I finanzieri, impiegati, così come i carabinier­i e i poliziotti, sia nell’ordine pubblico dopo il disastro ferroviari­o, sia nella sorveglian­za della «zona rossa» del Lodigiano, sono quelli che stanno subendo il numero maggiore di malati
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Insieme ai soldati dell’Esercito, più strutturat­i per quanto riguarda le misure di protezione, ai confini della «zona rossa» nel Lodigiano ci sono state anche le forze dell’ordine. Spesso, prive delle minime difese personali contro il virus

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