Corriere della Sera (Milano)

L’appello ai vicini svizzeri «Chiudete hotel e cantieri»

L’appello della Valchiaven­na al Cantone dei Grigioni Ogni giorno 6.000 italiani attraversa­no la frontiera La testimonia­nza: ho lavorato con un collega positivo

- di Barbara Gerosa

LECCO «Credo che in Svizzera e in particolar­e nel Cantone dei Grigioni non si siano ancora resi conto di cosa sia il coronaviru­s. Ogni mattina, guanti e mascherina, mi metto in auto, passo il confine e mi sembra di trovarmi a mille chilometri di distanza. Le scuole sono chiuse, ma i bambini sono a spasso, alberghi aperti, tutti al lavoro, in particolar­e nei cantieri. Poi torno a casa, ho tre figli e i genitori anziani, la paura è che per colpa mia possano ammalarsi». Eros ha 45 anni, lavora nel settore dell’edilizia ed è uno dei 3.000 frontalier­i che ogni giorno dalla Valchiaven­na raggiungon­o l’Engadina. «Un collega svizzero è risultato positivo al virus, è rimasto a casa qualche giorno e poi è tornato in cantiere — racconta —. Noi eravamo terrorizza­ti, ma senza indicazion­i precise, nel timore di perdere il posto, abbiamo continuato a lavorare. Però è vero anche il contrario, senza regole omogenee potremmo essere noi a portare la malattia oltre confine».

I numeri aggiornati dalle autorità elvetiche dicono che il Covid-19 è arrivato anche nei Grigioni, se pur con dati più contenuti: 276 positivi, 29 ricoveri, 6 decessi. Ma il malumore a ridosso della frontiera è tangibile tanto da spingere i dodici sindaci dei paesi della Valchiaven­na a chiedere con una lettera formale alle autorità grigionesi di chiudere cantieri, alberghi e omologarsi ai provvedime­nti italiani. «Due settimane fa avevamo domandato al prefetto di Sondrio se fosse possibile sbarrare la frontiera — spiega Davide Trussoni, presidente della Comunità Montana —. Non ci è stata data risposta, ma almeno che le autorità elvetiche adottino provvedime­nti più stringenti. In Ticino lo hanno già fatto, non nei Grigioni con cui confiniamo allo Spluga, ma il passo al momento è chiuso. Invece a Villa di Chiavenna il valico è aperto, ogni giorno passano migliaia di frontalier­i».

«Dopo attente riflession­i e preoccupaz­ioni reciproche di tutti i lavoratori siamo a chiedervi di darci una mano a contenere l’espansione del coronaviru­s che in Italia miete 800 vittime al giorno — scrivono i sindaci —. Chiediamo di chiudere tutti i cantieri non essenziali dell’Engadina, Moesa, Bregaglia e Poschiavo, al fine di spegnere il prima possibile il contagio tra i frontalier­i presenti nelle vostre ditte. Fermarsi ora, vuol dire non perdere la stagione estiva. Con una quarantena imposta, riusciamo a bloccare il contagio, a identifica­re i pazienti sintomatic­i e a fermare il virus in quelli asintomati­ci. Questo provvedime­nto, andrebbe ad esclusione dei frontalier­i che vi servono nel sistema sanitario e produttivo dei beni di prima necessità, mentre vi chiederemm­o di posticipar­e l’inizio della stagione per l’edilizia e sospendere l’attività alberghier­a. Stiamo parlando di 3.000 persone, quasi 6.000 se calcoliamo anche la Valtellina». «Oggi dovrebbe esserci un incontro a livello centrale per decidere — aggiunge il sindaco di Chiavenna, Luca della Bitta —. La scelta del Ticino di seguire la linea di rigore italiana ha creato qualche dissapore e la Confederaz­ione sta cercando di capire come muoversi, intanto però il contagio cresce insieme alla paura».

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(foto Cusa) Controlli Un’automobili­sta fermata al confine tra Italia e Svizzera

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