Guardie mediche, unità speciali per le visite a casa dei «sospetti»
Parte la nuova organizzazione delle cure territoriali Le categorie: mancano ancora camici e mascherine Gallera: stiamo dando il massimo, no alle polemiche
L’attenzione ora si sposta sul territorio. Qui si cerca di recuperare terreno di fronte all’avanzata rapida del coronavirus. La delibera approvata lunedì dalla giunta regionale traccia le linee guida per la «sorveglianza e presa in cura» dei pazienti a domicilio e per cercare di allentare la pressione sugli ospedali, ormai allo stremo. Molti pediatri e medici di famiglia da giorni chiedono più protezioni (mascherine e camici) per difendersi dal virus e strumenti per seguire e segnalare chi ha contratto il virus. Ora la Regione fornisce loro alcune indicazioni per monitorare da vicino i propri pazienti, a partire da quelli fragili perché, per esempio, hanno già malattie croniche e correrebbero maggiori rischi se venissero contagiati.
La seconda sfida è far emergere i casi sommersi, ovvero coloro che hanno contratto l’infezione ma al momento non risultano nel numero ufficiale dei «positivi» in assenza di strumenti per individuali e registrarli. Con conseguente difficoltà nel fermare il virus. Sono in fase di organizzazione delle unità speciali di guardie mediche che avranno il compito di visitare a domicilio i sospetti, segnalati dai dottori, che non sono così gravi da richiedere il ricovero.
Di nuovo è fondamentale il ruolo della medicina di territorio. Nello scorso weekend è stata attivata nell’Ats di Milano una piattaforma informatica per i medici di famiglia. Il 60 per cento di loro l’ha utilizzata e ha segnalato 1.800 malati di Covid-19 che finora non risultavano negli elenchi (dopo aver fatto 5.500 telefonate). Ma il portale, secondo alcuni medici, ha bisogno di ulteriori integrazioni per essere più efficiente e permettere così di rallentare i contagi e i decessi legati al virus. Il personale sanitario chiede poi che si crei più coordinamento tra ospedali e territorio. Le strutture, già oberate di lavoro per curare i malati gravi, hanno in capo il controllo finale dei pazienti dimessi, che a due settimane di distanza devono tornare in reparto per sottoporsi al tampone. Inoltre, i tempi di dimissione sono ancora troppo lunghi rispetto alla fame quotidiana di posti letto dei presidi.
L’assessore alla Sanità Giulio Gallera invita a non creare polemiche gratuite. «Ognuno qui lavora al massimo — ha spiegato anche ieri —, possiamo fare errori, ma l’obiettivo è quello di arginare questo tsunami e dare le migliori cure possibili a una moltitudine di persone».