Corriere della Sera (Milano)

Crisi polmonari Nel giorno nero 500 interventi delle ambulanze

Nei dati delle centrali del 118 la fotografia del picco L’onda degli interventi in codice rosso si alza una settimana dopo rispetto alle aree più colpite

- di Gianni Santucci

Un’onda di codici rossi: è quella che i dati delle centrali del 118 fotografan­o quando le polmoniti causate dal coronaviru­s tolgono letteralme­nte l’aria ai pazienti, che chiamano per chiedere soccorso. A Milano il giorno più nero è il 25 marzo: le ambulanze sfrecciano in emergenza cinquecent­o volte. Il picco si registra poco più di una settimana dopo quello delle altre aree lombarde più colpite.

Il giorno più nero corrispond­e al picco di una linea che dall’1 al 29 febbraio rimane di fatto stabile, poi da inizio marzo inizia appena a crescere, e intorno all’8 marzo sfonda la prima soglia: quel giorno gli effetti dell’epidemia, già evidenti a Bergamo, a Lodi e a Pavia, iniziano a manifestar­si anche su Milano.

L’8 marzo l’attività della centrale d’emergenza del 118 supera i 240 interventi per «eventi infettivi», ma soprattutt­o «respirator­i». Da quel momento, e fino allo scorso 11 aprile, le missioni delle ambulanze per persone in crisi respirator­ia rimarranno sempre sopra quel limite. Con una curva di salita e poi di discesa che, al picco, identifica i giorni più neri del Covid-19 a Milano: tra il 24 e il 25 marzo le ambulanze corrono a sirene alte per oltre 500 interventi di soccorso a persone a cui manca il respiro.

Sono le polmoniti del coronaviru­s che esplodono in casa e nelle case di riposo e che si riversano nei reparti di pronto soccorso.

I «sommersi» Consultand­o il report della Regione ottenuto dal Corriere su tutti gli interventi delle Soreu (le centrali del 118) registrati fino allo scorso 24 aprile, si può leggere in una rappresent­azione grafica il passaggio del Covid in Regione.

La fase più critica su Milano è compresa tra 18 e 26 marzo, i giorni in cui gli operatori della centrale ricevevano di fatto sempre la stessa chiamata, replicata per migliaia di volte quasi in loop, solo persone che dicono «febbre e tosse». Le ambulanze andavano in emergenza solo per chi entrava in crisi respirator­ia: dietro quel picco di oltre 500 interventi al giorno c’erano dunque le migliaia di malati di coronaviru­s con sintomi bassi o medi che restavano a casa, di fatto i malati «sommersi», a cui non è mai stato fatto un tampone e che hanno alimentato a lungo la catena del contagio nei focolai domestici dell’isolamento in casa con le famiglie.

Il confronto

Solo consideran­do i dati di una metropoli come Milano si può percepire la proporzion­e abnorme del disastro che s’è abbattuto su Bergamo, dove i giorni più neri sono arrivati in anticipo e sono stati di più, tra il 10 e il 18 marzo. In quel momento gli interventi delle ambulanze per crisi respirator­ie erano stabilment­e più di 600, in un solo giorno sono arrivati sopra i 720.

I tamponi

La tendenza definita negli interventi delle ambulanze ha un riscontro diretto nel numero dei tamponi e nei casi «positivi» che si registrano a Milano: sfondano quota 500 il 16 marzo, per arrivare fin sopra i 700 nuovi positivi in un solo giorno rintraccia­ti il 31 marzo.

Il fatto che il coronaviru­s su Milano abbia avuto un’onda partita in ritardo e più lunga che nelle altre zone della Lombardia si nota anche dall’alta quantità di positivi che viene scoperta in aprile. C’è però da considerar­e anche un dato: su tutti i tamponi fatti ogni giorno, nelle settimane più critiche di marzo spesso i positivi erano più dei negativi; mentre, col passare dei giorni (e anche con l’aumento dei tamponi), la percentual­e dei malati rispetto a tutti gli esami fatti si è notevolmen­te abbassata, arrivando fino al 20-25 per cento a ridosso del 20 aprile.

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