Corsa alla cassa integrazione
Oltre 2 mila attività in crisi profonda. Appello al sindaco
La Regione in ritardo sulle 40 mila domande di cassa integrazione. «Ma ora stiamo recuperando».
Tra il 25 e il 30 per cento di bar, ristoranti e locali di Milano non riusciranno a riaprire il primo giugno, data indicata per la ripartenza del settore nella scaletta di governo per la «Fase 2». Considerando i circa 7mila esercizi pubblici presenti in città, si rischia la chiusura definitiva o quasi di oltre duemila imprese milanesi.
Non c’è stata solo la delusione per il rinvio di una riapertura che si sperava in maggio (per ogni settimana di lockdown, il settore, che in Italia conta 1 milione e 200 mila addetti e 300mila imprese, perde 1,7 miliardi). «Occorre capire come, con quali norme, a quali costi, con quali investimenti e con quali certezze poter riaprire», spiega Alfredo Zini, ristoratore e presidente Imprese storiche di Confcommercio Milano. Per questo, ieri sera oltre 2.500 locali di Milano hanno «aperto per l’ultima volta — dice Zini —, accendendo le luci che illuminano la città», e questa mattina consegneranno virtualmente le chiavi al sindaco Beppe Sala, affinché si faccia interprete della categoria.
Sono molte le questioni su cui il settore, tra i più colpiti dall’emergenza sanitaria e dal successivo lockdown, chiede un chiarimento per poter riaprire. Partendo dalle norme di sicurezza. Oltre alla riduzione e al maggiore distanziamento dei tavoli, i ristoratori si interrogano su «quante volte al giorno occorrerà sanificare i locali e in che modo? Come andranno ampliati i protocolli di sicurezza che già abbiamo? Potremo continuare a utilizzare i tovagliati in cotone? Qual è il numero massimo di persone che potranno sedere per tavolo?».
C’è poi il lato del sostegno economico: le imprese stanno anticipando la cassa integrazione (e si chiedono se ver
rà interrotta con la ripartenza), attendono ancora i prestiti dalle banche (che per molti si stanno rivelando impossibili da ottenere), ci sono fornitori e utenze da pagare. Confcommercio ha stimato, per un ristorante di 200 metri quadrati con quattro dipendenti e due titolari, un costo solo per la riapertura di 6mila euro. Alla ripartenza, il contingentamento degli ingressi e il maggiore distanziamento dei tavoli significheranno meno clienti e minori incassi a fronte di spese che per molti non saranno sostenibili: «Per questo chiediamo una revisione dei costi strutturali: le accise sull’energia, i costi sul personale, un’altra modalità per gli affitti, per esempio dividendo il recupero del credito d’imposta tra affittuario e locatore».
Tra le categorie che il primo giugno non riusciranno ad aprire, ci sono i locali serali: «Prendiamo i Navigli, dove l’80 per cento dei locali sono serali. Non possono riaprire: la loro stessa natura di pub dove si va in compagnia, dall’aperitivo alla tarda serata, non è contemplata nella “Fase 2”. Come possono pensare di far entrare un cliente alla volta? Preferiranno stare chiusi perché i costi saranno superiori agli incassi». A rischio anche i locali con affitti alti, per grandezza degli spazi e zone in cui sorgono, e quelli con molti dipendenti. I piccoli, se a gestione familiare, potrebbero sopravvivere più facilmente. Tra quelli che probabilmente non riapriranno, tutti i bar che lavorano sulle pause pranzo in zone uffici e università: «Con gli atenei vuoti e i dipendenti delle aziende che dovranno continuare il più possibile a lavorare in smart working, saranno costretti a rimanere chiusi perché non avranno clienti».
Chi può, resiste. Ma non ha vita facile: «Ci hanno lasciati da soli — dice Raffaele Sangiovanni, titolare del ristorante Taglio di via Vigevano, che ieri ha partecipato alla manifestazione di protesta —. La nostra banca, Ca.Ri.Ge, verso cui non abbiamo mai avuto neanche un insoluto, ci rifiuta un piccolo prestito di 25mila euro che ci è necessario per ripartire: in questi mesi abbiamo accumulato 20mila euro di debiti. Hanno deciso di sacrificare le piccole imprese?».
I bilanci
«Spese per il personale e accise sull’energia, necessaria la riduzione generale dei costi»