«Ora sappiamo chi va protetto»
Anziani, ipertesi e con malattia coronarica. Ecco l’identikit delle persone più esposte al Covid.
Anziani, ipertesi e affetti da malattia coronarica. È l’identikit delle persone più fragili di fronte all’attacco del coronavirus, in base a uno studio condotto dal San Raffaele. A guidare l’équipe il primario Alberto Zangrillo e Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica. Il bagaglio di informazioni servirà a individuare precocemente i soggetti ad alto rischio diversamente da quanto successo nella prima fase dell’epidemia. Già da gennaio, confermano i dati raccolti dalla Regione, in Lombardia c’erano polmoniti sospette ma non sono state collegate al virus. Ciceri spiega come lo studio sarà utile per la Fase 2. Professore, come avete tracciato questo identikit?
«Fin dai primi giorni abbiamo fotografato nel dettaglio i pazienti Covid di cui ci siamo occupati: ne abbiamo curati circa un migliaio. Abbiamo registrato la loro storia clinica, i farmaci assunti, la comorbidità (presenza di altre malattie, ndr) e l’evoluzione dell’infezione. È risultato che di fronte al virus non siamo tutti uguali, le polmoniti più gravi si sono sviluppate negli uomini con più di 65 anni e con comorbidità di tipo cardiovascolare».
Come possono essere utili queste informazioni per la ripartenza?
«Sulla base di questi dati possiamo guardare alla popolazione con occhi attenti a chi ha questi fattori di rischio: gli anziani, gli ipertesi. Va riscritta la procedura di gestione di questi pazienti fragili. Vanno protetti, quindi devono essere presi in carico fin dalle fasi iniziali, se manifestano i sintomi del contagio».
Chi dovrà monitorarli? «Serve una connessione tra medici di medicina generale e i centri di riferimento che hanno farmaci in sperimentazione clinica che stanno dando buoni risultati».
Ma come si può riconoscere precocemente il contagio da coronavirus? I dati raccolti dalla Regione ci dicono che in Lombardia le prime polmoniti sospette risalgono alla fine di gennaio, ma per un mese nessuno le ha collegate al Covid-19.
«Oggi, grazie ai tanti pazienti osservati, conosciamo meglio le caratteristiche di questa polmonite. Quelle da influenza nell’anziano si sviluppano rapidamente e portano in breve all’insufficienza respiratoria. Quelle da Covid sono più insidiose. Prima compare la febbre, mentre la difficoltà a respirare arriva una settimana dopo i primi sintomi. Sappiamo quindi di avere alcuni giorni per intervenire precocemente».
I pazienti a rischio verranno curati a domicilio o portati subito in ospedale?
«L’attuale carico sul sistema ospedaliero ci lascia presagire che avremo disponibilità per accogliere anche pazienti in condizioni meno gravi. Per questo stiamo riorganizzando gli ospedali». Come?
«Stiamo concentrando e isolando i reparti covid così da mantenere un segmento delle strutture interamente pulito per i pazienti con altre patologie: in questo modo non rischieranno il contagio. E abbiamo allestito ambulatori di follow up per seguire i guariti da coronavirus».
Il virus lascia tracce?
«La ripulitura completa del polmone è lenta e ci sono possibili sequele di tipo renale, neurologico e psichiatrico. Sono possibili anche danni microvascolari. Per questo la valutazione dei guariti viene fatta da diversi specialisti. E seguiamo anche una quarantina di pazienti che non hanno avuto sintomi gravi, per valutare le differenze».
Sono emersi altri elementi dallo studio?
«I pazienti a maggior rischio hanno un basso numero di linfociti nel sangue, perché esauriti da una risposta immunitaria fuori misura. Per questo usiamo farmaci che rallentino la reazione sul campo di battaglia, il polmone e altri organi».
Il decorso
La pulizia del polmone è lenta e ci sono possibili danni renali, psichiatrici e neurologici da valutare